Vacanze a Kastellorizo nell’ombra della Luna

di Stefano Rosoni

Premesse logistiche

Questa eclisse totale del 2006 si sarebbe potuta osservare - in teoria - dal sito migliore del mondo se solo ci si fosse posizionati dentro la zona meteorologicamente migliore di tutto il tracciato, dove cioè la percentuale di copertura nuvolosa è inferiore al 30% (zona che secondo le carte fornite dalla NASA è compresa tra la Nigeria e l’Egitto) ed in particolare in un punto che sia il più vicino al centro eclisse (dove si assisterebbe alla massima durata di 4m 6,7s) ma contemporaneamente il più elevato in quota rispetto ai dintorni, per avere una visione scenografica dall’alto del paesaggio circostante e vedere l’ombra della Luna mentre si avvicina e mentre si allontana. Tradotto in parole povere, questo sito esiste, ed è il fianco di discesa del Pic Toussidè in Ciad, nel grande complesso montuoso del Tibesti, dove le mappe riportano una "strada proibita", in un punto di quota 1100 metri e coordinate 22°10'12”N, 15°52'14”E, con una massima durata locale della totalità di 4m 6,6s (vedi figura).

Purtroppo, però, condizioni politico-logistiche proibitive, per via di una guerra civile in corso nel paese, impedivano di porre in atto il progetto, e non solo nel Ciad, ma anche nei paesi confinanti come Niger e Libia, che a causa della fame nell’uno, del fanatismo nell’altro e della mancanza di una minima organizzazione logistica in entrambi, erano quantomeno a rischio per il turista medio italo-europeo e per qualsiasi altro turista-fai-da-te, e quindi proprio da sconsigliare; non riuscendo poi a spendere cifre intorno ai 1000 euro o superiori, erano escluse di conseguenza quasi tutte le spedizioni organizzate, che invece fornivano proprio quelle garanzie di cui c’era assoluto bisogno. Cercavo di trovare un viaggio economico e alternativo, ma più io dilazionavo le ricerche più la soluzione ritardava, e più gli altri astrofili, che avrebbero potuto essere i miei compagni di viaggio, se ne andavano invece con i vari tour operators.

        

E così arrivò il giorno in cui Vittorio Marcelloni, Stefano Strologo, Francesco Paradisi e Andrea Corinaldesi, messi alle strette, decisero di buttarsi nell’eclisse egiziana dell’UAI.

 

Rimanevamo ancora a terra noi due, Davide Ballerini ed io, che pur se allettati dalla occasione irripetibile offerta dall’UAI, sui costi resistevamo ancora ben saldi e con i piedi per terra, ed a terra saremmo rimasti se non avessi trovato in extremis e quasi per caso una soluzione del tutto particolare, nei pressi della migliore zona meteo e dal costo dimezzato. Esclusa l'Africa, rimanevano soltanto il mare mediterraneo e la Turchia del sud, in particolare il sito archeologico di Sida sulla costa di Antalia, con una durata della totalità di 3m 45s. Davide però non si sentiva sicuro in Turchia, e poi i voli economici per Antalia erano già tutti acquistati. Ma ero convinto della esistenza di una ulteriore soluzione, ero certo infatti di aver visto anni fa nella “Solar Eclipse Mailing List” che qualcuno prevedeva di osservare questa eclisse totale del 2006 proprio da una delle isolette greche del mar Egeo. Ma da quale delle tante? Non riuscivo a ricordarlo, quando lo scorso febbraio notai che il greco Michael Kentrianakis, vi scriveva di un sito dal nome strano: Kastellorizo. Dopo una veloce ricerca su Google non ebbi più dubbi: era quella l’isoletta che cercavo!

   

                

                                                                     

Kastellorizo

E' così piccola (9 km quadrati di roccia in mezzo al mare) e così vicina alle coste Turche (2 km da costa a costa) da essere facilmente considerata per errore territorio turco, invece è l'estrema frontiera orientale della Grecia nel mediterraneo, ed i collegamenti quotidiani da e per l’isoletta, via traghetto e via aerea (45 minuti di viaggio in un ATR 42 o un Dornier) si tengono da Rodi, dalla quale dista 120 km.

Con Atene (il Pireo, porto della capitale) conserva rapporti via mare giusto una volta alla settimana con un viaggio estenuante di 320 miglia marine, circa 25 ore di nave sulla via per Cipro.

Oggi gli abitanti residenti sull'isola sono meno di 200, compreso quello che nel vicino isolotto di Ro, sostenuto dal governo, continua l'opera della celebre "signora di Ro", la donna che per più di mezzo secolo badava a tener alta la bandiera greca contro "l'eterno invasore orientale", l'amata e odiata Turchia.

Mi recai allora presso l’agenzia Anek Lines, per pianificare subito il viaggio con Davide fermando gli ultimi posti sul volo Roma-Rodi e prenotando due corse sul traghetto da Rodi a Kastellorizo, dove avevo già trovato tramite e-mail una casetta presso gli affittacamere locali Monika e Damien, persone veramente gentilissime. Tanto è stato facile stendere in extremis il nostro piano di viaggio quanto invece vano ogni invito a studenti della nostra Università, laureatisi alcuni giorni prima, ad aggregarsi al viaggio eclisse, che poteva essere per loro una meritata vacanza dopo l’ottimo risultato. Partiamo sabato 25 marzo da Ancona con il treno regionale delle 3,36 (idea di Davide), un’ora insolita, ma così presto per paura di perdere il decollo da Roma Fiumicino alle 11 alla volta di Atene; dopo una lunga attesa nel capoluogo greco, poi, di nuovo alla volta di Rodi, dove arriviamo finalmente alle 19, giusto in tempo per la cena, dopo un viaggio esagerato per le troppe attese.

Turisti a Rodi

Il giorno dopo ci diamo alla scoperta dell’isola di Rodi, la più grande  del Dodecanneso e veramente bellissima, percorrendone l’intero perimetro con un’auto a noleggio.

Il lungomare  sulla punta a nord est dell’isola, dove è situato l'omonimo capoluogo, è particolarmente suggestivo, se percorso in una bella giornata di sole, con il colore blu intenso del mare che insegue quello del cielo e fa da sfondo ai vistosi edifici di stile coloniale che danno la curiosa impressione di essere ritornati indietro di quasi un secolo.

Un'altra cosa che subito salta all’occhio del turista occidentale è la coesistenza pacifica di varie confessioni religiose che altrove si penserebbero in conflitto tra di loro.

     

Rodi rivela la bellezza selvaggia della tipica macchia mediterranea, e per qualche aspetto ricorda la nostra riviera del Conero, come in questa spiaggia che somiglia tanto a quella di Marcelli. Ma anche la gente che incontri ti ispira qualcosa di gradevole e familiare, e a volte ti sembra, dalla cordialità che esprime, di averla sempre conosciuta.

Lindos

L’antica capitale, arroccata su un’altura a picco sul mare, ricorda i nostri vecchi paesini arroccati sul cucuzzolo, circondati di mura merlate tutto intorno. E' la piu' nota citta' dell'antichita' che insieme a Yalissos e Kamiros fondo' la citta' di Rodi. Ora e' un pittoresco borgo di casette bianche ai piedi dell'imponente rocca con il castello e i resti dell'antica acropoli. Anche lì si dovrebbero leggere pagine e pagine di storia, di guerre e battaglie per il dominio di un esiguo territorio il cui perimetro si gira in sole dodici ore, e che oggi vede come massima tra le esigenze non il predominio del territorio ma lo sviluppo ed il sostentamento economico, che è basato soprattutto sul turismo.

 

Non potevamo non comprare da quella gente così simpatica i soliti piatti dipinti a mano a 4 euro l’uno con vedutine bianco-azzurre che ritraggono molto bene e con tanta poesia quel piccolo mondo antico che ormai sembra sopravvivere solo per ricordare al turista un passato neanche tanto remoto, in cui le grandi comunicazioni di oggi non esistevano, ma la vita era meno artefatta, più autentica e in fondo più semplice.

Al centro di una splendida baia, dominata da un castello medievale, l'antica capitale dell'isola è meta deliziosa di vacanza totale, molto frequentata dai personaggi del bel mondo. Fra i più affezionati molti italiani, eredi delle grandi famiglie che dopo la caduta dell’impero ottomano si assicurarono la proprietà delle più belle ville turche.

Il sud

E dopo questo tempietto solitario tra boscaglie e radure erbose verso sud, per concludere in bellezza questa carrellata sulle tante bellezze incontrate, è certamente da riportare come ultima spiaggia, in senso propriamente detto, il mare al tramonto visto dalla costa occidentale, opposta alla vecchia capitale Lindos, e che Davide ed io non ci siamo certo fatti sfuggire.

                

                                                                     

                 

                                               

L’isola del tesoro

Non dimentichiamoci però che siamo qui per un tesoro (l’anello di diamante) da cercare sulla mitica isoletta, e così lunedì 27 saliamo di prima mattina sul traghetto per Kastellorizo, dove nelle due ore della monotona traversata faccio conoscenza con due greci piuttosto interessanti, che parlano benissimo l’italiano: Elena Katsafylloudi, studentessa all’Università di Roma, e Louizidis Alexandros, regista che abitò ad Ancona fino al 1981 e poi si trasferì a Rodi. Anche lui è diretto a Kastellorizo con la sua cinepresa, al seguito di una equipe guidata dall’architetta Irini Diaexostamanou, per girare le scene dell’eclisse in un film sulla storia dell’isola, un ambizioso progetto documentaristico voluto dal Sindaco della città. Tanto per restare in argomento attracchiamo in una graziosa baia che potrebbe essere uno scenario da film, esattamente quello girato da Salvatores negli anni ’90, dal titolo “Mediterraneo”.

E’ un luogo che sembra creato apposta per far riposare il visitatore, e concentra in pochi metri quadrati tutto ciò che rende perfetta una vacanza mediterranea: un clima caldo e rilassante per il sole decisamente estivo, che non sembra affatto lo stesso sole lasciato in Italia appena due giorni prima; un mare trasparentissimo che lascia vedere la vegetazione sul fondale roccioso, e si allarga aperto dalla baia principale a nord est verso la costa turca, che appare lì avanti a portata di mano, preceduta da una costellazione di scogli ed isolette affioranti che invitano a tuffarsi nel blu; un porticciolo caratteristico e minuscolo, quasi un giocattolo a scartamento ridotto, eppure il più sicuro e protetto di tutto il mediterraneo; piccoli pescherecci variopinti che tirano su dall’acqua ogni mattina qualsiasi specie di pescato; graziose casette naif tutte poste in fila a ridosso della baia del porto, così incredibili che sembrano uscite da un libro di favole; gente dai tratti un po’ scuri, tranquilla e sorridente, che ti capisce e ti asseconda subito, anche quando non parla la tua lingua, e tanti turisti, e astrofili, e astronomi da tutto il mondo, che girano spensierati e felici.

 

 

     

Ma dopo l’8 settembre 1943, quando l’Italia stremata dalla guerra chiese un armistizio al generale Eisenhower, comandante in capo delle forze alleate, e la richiesta fu accolta, l’esercito tedesco diede la caccia agli Italiani come traditori, provocando la fuga di quelli ancora presenti sull’isola, bombardando duramente e distruggendo molte case ed opere costruite dagli Italiani, infatti oggi si vedono tante case distrutte, ed anche il castello è completamente diroccato.

Successivamente l’esercito inglese occupò Kastellorizo, togliendola ai Tedeschi e deportando in Turchia, in Australia, in Canada e negli USA quasi tutti gli abitanti civili ed oriundi, per poi distruggere all’insaputa di tutti le loro case e le altre opere costruite dagli Italiani, incendiandole, e questo vandalismo operato dagli inglesi è stato tenuto segreto per molto tempo nelle sfere diplomatiche.

Prima della guerra c’erano 14.000 abitanti, ma adesso ce ne sono circa 200. Quattro anni più tardi l’isola fu ceduta alla Grecia con il trattato di pace.

Breve illustrazione storica

Il nome di quest'isola deriva dall'italiano Castel Rosso, e risale al passato medievale: un tempo l'isola fu una base per i Crociati di San Giovanni, provenienti da Venezia, che la fortificarono insediandovi un presidio sulla strada per le terre sante. Ci fu un tempo in cui passò al Sultano dell'Egitto ma poi ritornarono ancora gli Italiani sotto il comando borbonico del Regno di Napoli. Il suo nome in greco è invece Meghisti che vuol dire "La Massima", la maggiore delle isole che si stringono insieme di fronte alle coste della Turchia. Le altre due sono Ro e Stronghilì, disabitate, isole che offrono diverse occasioni di libertà in un ambiente comunque arido e prevalentemente inospitale.

Gli Italiani fecero la loro prima apparizione sull'isola nel corso del ventesimo secolo nel periodo coloniale, durante il quale costruirono molte opere di valenza sociale, architettura ed ingegneria, e la gente, sia lì che a Rodi, ricorda ancora quel periodo. Tutto il Dodecanneso è stato italiano tra la prima e la seconda guerra mondiale. Il porto aveva una certa importanza perché era una base per idrovolanti (per questo è rettangolare).

Il novecento non è quindi stato un secolo felice per Kastellorizo, basti pensare al grande esodo che si verifichò allora verso gli Stati Uniti e l'Australia, facendo passare la popolazione dai circa 19 mila abitanti degli anni '20 agli appena 300 della fine della seconda guerra mondiale, ai 200 attuali. Si concluse ancora peggio se si pensa al calvario della guerra a cui l'isola fu costretta a causa del presidio fascista e della ferocia dei Tedeschi e degli Alleati.

La scuola elementare conta oggi 43 bambini. Per le scuole superiori i ragazzi devono recarsi nelle altre isole, come Rodi. Camminando qua e là si trovano ruderi infestati da erbacce con un cartello piantato nel mezzo e la scritta: on-sale, Call Australia, Sidney, ed il numero di telefono. Questo perché durante e dopo la guerra i 14.000 abitanti di Kastellorizo sono emigrati in Australia, in Canada o negli Stati Uniti.

I segni dell'abbandono ormai quasi secolare sono molto profondi e segnano irrimediabilmente il piccolo centro abitato: lo svuotamento demografico ha determinato il declino delle attività più fiorenti sull'isoletta, la pesca della spugna ed il commercio con i Greci dell'Asia Minore. Appena 2 dei sette quartieri del centro sono abitati mentre il resto sconta gli effetti di un rapido degrado. Lo stesso Castello Rosso che sovrasta il porticciolo, bombardato dai Tedeschi e dagli Alleati nella seconda guerra mondiale e da allora gravemente rimaneggiato, non riesce a uscire dalla costante dell'abbandono a cui è sottoposto l'intero territorio.

Nondimeno il centro attorno a Mandraki rimane sobrio ed elegante, molto caratteristico nella sua semplicità. Emana una certa malinconia per il suo isolamento, ma nel complesso piace: Little Paris sulla costa, vicoli lastricati strettissimi, mercati rionali che ricordano il periodo italiano, la cattedrale sicuramente curiosa di Ayios Kostantinos e Eleni, la Moschea a ridosso del porto e il leggendario hammam sul "kastro", le piccole aree archeologiche e le panoramiche dall'alto della fortezza sono posizioni molto suggestive che ripercorrono le strade un po' oniriche fatte nel film dalla ciurma di Abbatantuono, e se questo incantesimo presto si esaurisce tra le stradine che dal porticciolo portano alla cattedrale ed al fortino sulla cima del colle, tuttavia offre panoramiche di primissimo livello e romantici tramonti agli animi contemplativi.

Se il periodo coloniale italiano si concluse tragicamente, le cose andarono decisamente meglio nella successiva presenza italiana sull'isola, con Diego Abbatantuono e la troupe di Salvatores in scena a girare uno dei più popolari lungometraggi degli anni '90, il "Mediterraneo". Da allora Kastellorizo tenta timidamente la via del turismo puntando soprattutto su un pubblico italiano.

Il turismo non fa fatica a trovare soluzioni e sistemazioni tra tanti affittacamere improvvisati, mentre è attivo pure qualche albergo (per es. il Polos, 22241-49302 ed il Meghisti, 22241-49272, 49219, 49220). Attraversare lo stretto che separa l'isola dalla Turchia è una tentazione continua, passati i tre giorni canonici di permanenza a Kastellorizo, ma viene il giorno della visita culturale ai siti archeologici Turchi, e allora si prende una barchetta e si va a Kas che dista in linea d’aria solo qualche chilometro.Ottimo mare, ovunque uno si sposti, sia qua che sugli isolotti un po’ al largo, Ro e Stronghilì. Le grotte marine di Fokiali (Parastas) sono tra le più interessanti della Grecia: la stanza principale, decorata di stalagmiti e stalattiti è lunga all'incirca 75 m, larga una quarantina e alta 35 e può essere visitata in barca. Nel medioevo fungeva da tana di pirati mentre oggi è l’habitat di tartarughe e foche.

A parte poche auto private ed un taxi non esistono mezzi di trasporto pubblici sull'isola, e le distanze si fanno soprattutto a piedi.

   

 

Persone e storie che si incontrano

Nei tre giorni di permanenza sull'avamposto più orientale d'Europa, e dove si sono mosse autorità politiche varie, scienziati e ricercatori del Williams College provenienti dal Massachussetts, dell'Università Aristotelica da Tessalonica ed il Sindaco dell'isoletta, abbiamo espresso per l'Associazione Marchigiana Astrofili, il Circolo Astronomico Dorico e la Delegazione UAI della provincia di Ancona il saluto dell'Italia e dell'Unione Astrofili Italiani.

Non ci sono stati momenti vuoti, ed abbiamo dedicato del tempo anche agli incontri con i più incredibili personaggi del mondo dell’astronomia, come l’eclettico francese Bernard Durand col suo piccolo aereo Piper “Saratoga” e le mitiche bottiglie di Bordeaux (forse troppe) per brindare e festeggiare dopo l’eclisse in un piccolo bar del porto, o come il serenissimo professore Jay Pasachoff, venuto apposta dagli Stati Uniti ed alloggiato all’Hotel più chic dell’isola, il Meghisti, con al seguito la sua corte di scienziati, tecnici e studenti del Williams College, pieni di strumenti e tubi ottici, ovviamente costosissimi, portati per esclusive ricerche sulla corona solare.

Abbiamo incontrato astrofili ed astronomi italiani come Enrico Mozzina di Villastrada (MN) ed altri due suoi amici, venuti come in un romanzo d’avventura dentro un camper fino a Rodi, poi alloggiati per la notte a Kastellorizo in un peschereccio grazie ad un pescatore dal buon cuore, per fotografare l’eclisse il mattino dopo dalla banchina del porto sullo spiazzo di fronte ad una basilica ortodossa; oppure come la signora Marina Magnani, una piemontese che vive a Londra ed ha (beata lei!) una casa in questa isoletta, e ancora Aldo Cavallo, astronomo di Torino, che con l’amico Adalberto Pio di Luserna San Giovanni (TO) dove i due hanno l’osservatorio, aveva affittato da tempo una intera grande casa con attico, posta in alto su di un pendio, per fotografare la totalità da veri professionisti indisturbati.

        

Abbiamo conosciuto anche molti astrofili greci, come il numeroso gruppo dell’Associazione di Salonicco, che io chiamavo scherzosamente “i Tessalonicesi”, tra cui la già menzionata Elena Katsafylloudi, ed il presidente Aristidis Voulgasis, o altri senza etichetta, come Thimio Klampaftis che vive in Inghilterra, il giovane Tile con la madre Vassiliki e la nonna Eleni, e Niko Falagas di Atene al quale abbiamo prestato un filtro solare baader astrosolar con cui il Niko ha filmato un’ottima ripresa dell’eclisse (restituendocelo però conciato come una foglia secca e promettendoci una copia del film che però ancora non si è vista), ed infine astronomi della “Aristotle University of Thessaloniki” (AUTH), come la dottoressa Anastasia Metallinou, col suo stimolante gruppo di colleghe e colleghi, come lei tutti entusiasti e giovanissimi.

 

  

  

                

                                                                     

Nell’ombra della Luna

La nostra strumentazione è stata forse anche troppo abbondante. Ho portato un maksutov fabbricato da Zen, diametro 150 mm e focale 2200 mm, che stava su una montatura HEQ5 insieme ad un ottimo rifrattore tipo Meade 102/660 mm fornitomi dall’impagabile Adriano Lolli, oltre ad un più leggero maksutov MTO-1000 macro, sempre avuto da Lolli, che gestiva Davide su una montatura EQ2 insieme al suo leggerissimo Konus Vista 80/400 mm. Ogni tubo ottico era corredato da due macchine fotografiche reflex, per consentirci di riprendere più di un rullino di 36 foto durante la totalità. La scelta del sito per i preparativi del giorno 28 e le prove di puntamento dei 4 telescopi sulle 2 montature è caduta su una piccola e ridente baia secondaria (Mandraki), riparata dai venti, proprio dove avevamo la casetta in affitto. Invece per l’eclisse abbiamo preferito il vecchio Castello Rosso dei Crociati che ha dato il nome all’isola, posto sul cucuzzolo esplorato il giorno prima.

   

Il mattino del 29 siamo dunque saliti con due valigione e due borse a tracolla contenenti tutti gli strumenti sul piccolo colle dove sorge il fatidico Castello, e piazzandoci lì sopra con tutto l’armamento ci siamo resi conto di non essere i soli ad avere avuto un’idea forse non così originale: il posto in breve era divenuto così affollato da astrofili e cavalletti piazzati ovunque che quasi ci si contendeva il centimetro quadrato! Ma visto il peso degli strumenti e lo sforzo compiuto per trasportarli fin lassù, vi siamo rimasti, pur con qualche dubbio se fosse stata migliore la piccola baia delle prove del giorno precedente.

In quel piccolo spazio di circa 50 metri quadrati in cima al castello si sono avvicendati, tra chi saliva e chi scendeva dall’unica vecchia scaletta in ferro che ne consentiva l’accesso, decine e decine di ragazzini e studenti di ogni età, che con le loro rispettive insegnanti, stranamente quasi tutte donne, sembravano non trovar pace nella attesa di un fenomeno tanto sconosciuto quanto atteso, e che li elettrizzava in un gioco di emozioni e divertimento.

  

Finalmente arriva il primo contatto. Tutti gli astrofili sul culmine del castello si accingono a scattare la prima fotografia tra quelle che faranno la storia di questa eclisse. Poi seguono ogni tre o cinque minuti le altre della sequenza classica di avanzamento del bordo lunare sulla fotosfera. Davide è precisissimo, cronometro alla mano mi segnala quando è ora di scattare la foto, ed operiamo in sincronia, ogni 3 minuti e sfasati tra noi di 1,5 minuti.

Chiedo alla gentile signore Vassiliki di ritrarmi con una delle mie macchine fotografiche vicino ai miei telescopi, sarà un bel ricordo da conservare.

     

Mi chiedo che cosa succederebbe a noi abitanti del Pianeta Azzurro se improvvisamente il Sole si spegnesse e non ci mandasse più il suo calore. Sarebbe certo un brutto guaio, forse molto peggiore di tutti gli altri problemi e guai che i vari telegiornali ogni giorno scrupolosamente sfogliano e ripassano.

Alcuni issano la bandiera greca a strisce bianche e azzurre sul pennone del castello.

La temperatura scende sensibilmente e costringe tutti ad indossare una giacchetta (poi Nikos ci dirà che ha misurato una escursione di ben 14 gradi centigradi) e con il fresco dell’aria che incomincia ad infastidirci, in quel clima inizialmente così fantastico, arriva anche un detestabile vento a raffiche, sempre più serrate, che fa vibrare ogni telescopio, col grosso rischio di rendere mosse le fotografie, e ci fa rimpiangere la tranquilla baietta riparata dove il giorno prima facevamo le prove, addirittura sudando per il caldo afoso.

Con la temperatura scende anche la luce, come quando le nuvole oscurano il Sole, ma nuvole non ce ne sono, c’è soltanto la Luna in quel cielo di un azzurro sempre più cupo; vedo che si stanno formando sottili cortine di condensa chiara in alta quota, sembrano veli di cirri dovuti probabilmente alla repentina discesa della temperatura; questi veli disturberanno la totalità, soprattutto l’inizio e la fine; il fenomeno dell’oscuramento progressivo arriva in breve a scenari veramente irreali, quando sembra che qualcosa di strano ed impossibile stia avvenendo davanti ai nostri occhi: un Sole dalla fotosfera ridotta ad una falce, che è già sottile sottile ma pur sempre accecante alla vista, e brilla in un cielo stranamente turchino scuro ma non riesce più a scaldare ed illuminare la Terra.

 

 

La gente intanto comincia a vociferare, il tono delle voci si alza, sta per scomparire l’ultima falce di fotosfera che è ormai sottilissima. E’ questo il momento critico, e tutto intorno a me mi dice che è ora.

Senza filtri

Decido allora di togliere i filtri dai telescopi.

Davide, che aspetta questo segnale, mi vede e fa altrettanto.

Le foto che ora seguono sono i risultati ottenuti dalle nostre due postazioni:

Un oceano di luce inguardabile inonda il mirino delle macchine fotografiche dei due telescopi, e senza porvi l’occhio dietro per non accecarmi, fidandomi dell’inseguimento della montatura, comincio a scattare a ripetizione con il winder della macchina fotografica dietro al telescopio principale di focale 2200 mm, come dal programma che abbiamo stabilito a tavolino, per riprendere gli effetti di bordo a forte ingrandimento, come l’anello di diamante, i grani di Baily e le protuberanze; il tempo è impostato in automatico.

Un urlo corale saluta il primo anello di diamante: sta iniziando la totalità e in pochi secondi scende improvviso il buio.

La Totalità

Mentre continuo a scattare vedo dal mirino attraverso il telescopio che la luce abbagliante scompare per fare posto ad uno scenario incredibile di filamenti dorati della corona che si alzano da sopra la fotosfera come tanti capelli d’angelo che se ne vanno nello spazio, contemporaneamente alle protuberanze solari rosso-rosa che si vedono volare sovrapposte alla corona in quello spazio che si chiama cromosfera.

Riprendo qualche foto anche con l’altra macchina montata dietro lo strumento secondario, il rifrattore di focale 660 mm con un duplicatore che la porta a 1320 mm, sempre col tempo impostato in automatico. Non riesco a cambiare i tempi di posa sull’otturatore di nessuna macchina perché è sceso un buio totale come durante la notte, e non vedo più le piccole scritte di regolazione. Mi accontento allora del tempo automatico.

Tolgo poi il duplicatore dal rifrattore riportando la focale a 660 mm e guardo dal mirino per qualche istante la bellissima corona in tutta la sua estensione: mi sembra di assistere alla manifestazione di una imprecisata gloria celeste, una nuvola d’oro luminoso che aleggia intorno alla controfigura rotonda della Luna, tutto intorno alle brillanti protuberanze rosse che costellano numerose il suo contorno.

E’ ora di far lavorare anche questo telescopio alla focale di 660 mm per riprendere la corona nella sua totale estensione.

Anche Davide fa un gran bel lavoro, riprendendo con l'MTO-1000 Maksutov immagini della corona tra le più belle della intera spedizione, ed anche il suo Konus Vista ne registra ottime  a grande campo.

Faccio quattro scatti automatici che ad orecchio giudico troppo brevi e temo che la parte più esterna e tenue della corona non venga impressionata; allora tolgo la macchina, riesco a capire come bloccarla su una posa lunghissima e la reinserisco effettuando altre tre pose della corona, questa volta lunghissime, non finivano mai, credo che siano durate più di 10 secondi ciascuna.

Alla fine della terza posa però mi sorprende l’arrivo del secondo anello di diamante, ed una lama di luce accecante invade di nuovo il mirino delle macchine fotografiche, accompagnata da un urlo e da un applauso dei presenti sul cucuzzolo del Castello. Purtroppo è la fine della Totalità.

Questa non ci voleva, il fatato intervallo è finito, non me lo aspettavo così breve: più che tre minuti mi sono sembrati trenta secondi, e non sono riuscito a riprendere tutte le immagini che avrei voluto.

La riemersione della fotosfera

Ricomincio a scattare freneticamente con il telescopio principale; la prima macchina fotografica ha finito il rullino, ma ne ho già messa sotto un’altra. 

 

Così, mentre le navi alla fonda nel porto danno fiato a tutte le loro sirene, io continuo a riprendere velocemente altre foto, ormai fuori totalità, mentre la corona sta velocemente scomparendo, anche con il telescopio secondario, quasi per catturare in ritardo quelle immagini che vorrei avere ripreso prima e che invece non possono ritornare più indietro.

 

 

 

 

E’ in  momenti come questi che avverto acutissima l’inesorabilità del tempo che passa. Alla fine, per il crescente bagliore, sempre più folgorante, della luce della fotosfera che invade e satura il mirino e che non posso più guardare riducendomi a scattare fotografie alla cieca, mi arrendo all’evidenza e rimetto con rammarico i filtri solari davanti agli obiettivi dei telescopi.

 

Sarebbe ora impossibile descrivere ogni momento di quei tre minuti con l’emozione che lo accompagnava, nella consapevolezza della straordinarietà ed unicità dell’evento.

Ogni eclisse è unica, bisogna soltanto viverla.

La tensione emotiva che aveva tenuto tutti col fiato sospeso ora si scioglie come neve al sole e genera commenti ed espressioni di euforia e soddisfazione in tutti i presenti, e ci sono i primi giudizi sulle osservazioni e riprese fatte.

La telecamera che ho portato, fissata da Davide a dovere con l'inquadratura a grande campo sulla veduta del porto, ha ripreso tutta la scena del calo e della risalita della luce, e sarà un bel documento da mostrare.

Ritengo di avere scattato circa 60 fotografie senza filtro ed anche a Davide è andata benissimo. Vedo che molti cominciano a muoversi dalle postazioni per girare tutto intorno in quei così esigui metri quadrati che offre il piccolo castello.

Anche io giro e rigiro, e riprendo a caldo qualche foto ricordo di Davide e di tutta quella gente arroccata e idealmente protesa verso il Sole, con cui ho vissuto la fantastica esperienza.

 

 

Ma non è finita: segue la ripresa della sequenza di arretramento del bordo lunare sulla fotosfera ogni tre minuti: la serie decrescente della copertura, esattamente opposta a quella ripresa inizialmente.

La tensione emotiva sta pian piano scomparendo, e tutto l’interesse sembra esaurito e come bruciato in quei fatidici tre minuti, tanto intensi quanto fugaci, della totalità. Alcuni smontano gli strumenti e se ne vanno prima della fine del fenomeno, che è individuata, come da copione, dal quarto contatto, quando il bordo lunare lascia completamente scoperta la fotosfera. Noi invece documentiamo l’intera sequenza e dopo le rituali foto ricordo con l’autoscatto siamo gli ultimi a scendere dal Castello ormai deserto.

 

I festeggiamenti

                 

Premetto che, già stanchi, per smontare l’ingombrante e pesante strumentazione e riportarla giù dal Castello fino alla casetta, con quelle valigie trolley dalle rotelline che si inceppano sempre, siamo arrivanti a casa così tardi da saltare il pranzo.

Ma essendo un giorno importante, anche perché era il compleanno di Davide, dopo una meritata doccia siamo andati a festeggiarlo insieme agli altri astrofili, nel cuore del paesino, che è rappresentato dalla baia principale del porticciolo, dove di solito i villeggianti concludono le giornate seduti sulla banchina a conversare e sorseggiare una bevanda.

Avremmo voluto conoscere meglio le simpatiche ragazze dell'associazione dei Tessalonicesi, ma chissà perché quel pomeriggio i Greci sembravano tutti assorti in una specie di ritiro esclusivo, e si capiva che non erano nello spirito di fare salotto. Alla fine, facendosi tardi, Davide con un gesto mitico ha offerto a tutti i presenti (c’ero rimasto solo io) una degna cena di pesce (sull’isoletta c’era da mangiare soltanto quello)  con la quale abbiamo concluso in bellezza, nella stupenda cornice che già sapeva di nostalgia, quel 29 marzo, un giorno ed un evento veramente indimenticabili.

   

Con l’occasione, per il compleanno, visto che la migliore tradizione vuole che il festeggiato organizzi la cena e poi riceva i regali dagli invitati, mi è sembrato ovvio promettergli in regalo un tubo ottico, e dopo varie considerazioni su quale potesse essere il più indicato, non sapendo esattamente su quale modello far cadere la scelta, lui ha suggerito un bel rifrattore Takahashi.

Sicuramente l’idea è ottima, devo soltanto trovare un piccolo tubo di quelli economici, per esempio nelle bancarelle, sul quale il nostro amico Alessandro Zingaretti, che è un vero artista, applicherà la scritta “Takahashi” con i trasferibili.

 

 

Arrivederci

Il giorno dopo, direi quasi con una lacrima sul viso, come diceva una vecchia canzone, affrontiamo il ritorno a Rodi con una traversata di 3 ore sul modernissimo traghetto della "Dodecaneso Express", che avendo il vento contrario, ci sbalzava continuamente su e giù in un mare increspato, provocando prima o poi travagli e vomito nella maggioranza degli occupanti.

Allo sbarco gli ultimi saluti agli astrofili greci, e nel pomeriggio, dopo un giro per i negozi cercando ricordini insieme ai tre italiani di Mantova, visita di rito alla città vecchia di Rodi, con il Castello dei mitici Cavalieri, vastissimo e scenografico, evidentemente costruito in pompa magna, ma per i miei gusti un po’ troppo monumentale se confrontato con il Castello Rosso, piccolo piccolo e così pieno di poesia, dell’isoletta che ci eravamo lasciata alle spalle.

Il ritorno a casa

                

                                                                     

La mattina di venerdì 31, al check-in dell’aeroporto di Rodi, ci impongono un sovrapprezzo di 85 euro dovuto al peso in eccesso, che non ci perdonano, come invece avevano fatto a Roma, e decolliamo per Atene con 64 kg in due grosse valige a stiva oltre al grosso bagaglio a mano (due trolley con i tubi ottici, e le due borse a tracolla piene di macchine fotografiche); un peso che rasentava globalmente i 100 chili, enorme per un semplice viaggio di una settimana. Durante lo scalo ad Atene telefoniamo a Niko che abita in città e ci aveva promesso di raggiungerci in aeroporto con il DVD del suo filmato. Ma ci risponde al telefono che nei 3 giorni di anticipo che ha su di noi non ha trovato un DVD da scrivere. Ci sembra una scusa, e chiediamo che ce lo spedisca appena pronto. Ci rassicura e saluta. Sarà vero?

Arrivati all’aeroporto di Roma Fiumicino e perduta l’ultima coincidenza del treno da Roma Termini per Ancona a causa degli orari balordi delle ferrovie, siamo stati costretti a trasferirci in metropolitana con tutto quel peso fino alla stazione di Roma Tiburtina. Qui, fatto il biglietto con la biglietteria automatica causa tarda ora, abbiamo dovuto prendere un treno per Bologna, dove, costretti a cambiare ancora, correvamo nel cuore della notte con tutti quei bagagli per la stazione, cercando di non perdere la coincidenza per Ancona, dove siamo finalmente approdati alle 4 del mattino, per rincasare molto, molto stanchi, ma nonostante questo ancora pieni e beati del ricordo dell’impagabile e fantastica avventura, così bello ed unico che lo conserveremo per sempre.