Un celeste incontro: Venere e il Sole

Pasquale Tucci
Umberto Anselmi
Istituto di Fisica Generale Applicata - Università di Milano

Introduzione

La distanza della Terra dal Sole e dagli altri pianeti ha sempre incuriosito e affascinato gli osservatori e gli stu­diosi dei fenomeni naturali. Dal III secolo prima di Cristo la curiosità e il fascino si sono trasformati in ricerca sistematica. Aristarco di Samo (310-230 a.C.), Ipparco da Nicea (185­125 a.C.), Tolomeo di Alessandria (87-125 d.C.) tentarono di stabilire la distanza Terra-Sole con metodi puramente geometrici. I valori trovati da Tolomeo (2’ 46" per la parallasse solare e il valore della distanza Terra-Sole uguale a 1210 volte il raggio terrestre) furono tramandati fino al 1500 quando gli studiosi riaffrontarono su nuove basi il problema della dimensioni del cosmo allora conosciuto. Il Sistema Solare degli antichi che, insieme al cielo delle stelle fisse, coincideva con la totalità del cosmo, era estre­mamente piccolo se raffrontato alle dimensione attuali Nell’ambito delle nuove acquisizioni in campo astronomi­co successive alla pubblicazione, nel 1543, del trattato di Copernico De Revolutionibus di particolare rilevanza per il problema dei transiti dei pianeti inferiori sul Sole era la terza legge di Keplero, formulata nell’opera Armonices mundi del 1619. La legge lega il quadrato del tempo di rivoluzione di un pianeta al cubo della distanza media dal Sole: con essa era possibile tracciare una mappa in scala del Sistema Solare. Una volta accertata una distanza sa-rebbe stato possibile risalire alle dimensioni dell’intero Sistema Solare. I transiti di Mercurio e di Venere sul Sole furono sfruttati per trovare la parallasse solare e, da questa, derivare la di-stanza Terra-Sole. Una volta nota quest’ultima, dalla terza legge si ricavavano le distanze dei vari pianeti. I transiti di Mercurio e Venere dei quali gli astronomi hanno lasciato documentazione furono osservati solo dopo l’introduzione del telescopio nella pratica astronomica, nel 1609. In effetti il transito di Venere sul Sole può essere osservato anche a occhio nudo. E, infatti, a volte si riporta una vaga descrizione del fenomeno data da un astronomo arabo nel XII secolo. Ma di fatto la prima documentazione accertata è quella del 1631.

La geometria

Se l’orbita di Venere giacesse nello stesso piano di quella terrestre il passaggio del pianeta sul Sole avverrebbe ogni 584 giorni, con una frequenza quindi molto maggiore di quanto accade. Invece il piano dell’orbita di Venere è inclinato di 3° 4’ rispetto a quello della Terra. Per effetto di questa inclinazione, Venere passa sul Sole dopo 8 anni dal primo passaggio e dopo 121 anni dal secondo passag­gio. I passaggi di Venere osservati dopo l’introduzione del telescopio nella pratica astronomica e fino al 1882 sono stati i seguenti: I tempi sono in GMT e le date sono riportate al calendario gregoriano. Il prossimo sarà l’8 Giugno 2004, nodo discendente, pri­mo contatto 05.15 TU, durata 6h 13m; quello successivo il 2012. (Fonte Michael Maunder, Patrick Moore, Transit When Planets Cross the Sun, Springer, 1999). Possiamo ritenerci quindi abbastanza fortunati perché la stragrande maggioranza di noi potrà osservare il passaggio due volte nella propria vita. I passaggi avvengono sempre o a giugno o a dicembre.

7 dicembre 1631 nodo ascendente

primo contatto 03:49

4 dicembre 1639

nodo ascendente primo contatto 14:56
6 giugno 1761 nodo discendente primo contatto 02:01

4 giugno 1769

nodo discendente

primo contatto 19:15

9 dicembre 1874

nodo ascendente

primo contatto 01:50

6 dicembre 1882

nodo ascendente

primo contatto 13:57

La storia

Keplero fu il primo che, sulla base delle osservazioni di Ticho Brahe e dopo aver composto le Tavole Rudolfine, predisse nel 1629 i transiti di Mercurio e Venere sul Sole e li comunicò agli astronomi del suo tempo in un 'Avviso agli astronomi (Admonitio ad Astronomos). Dai suoi calcoli ambedue i pianeti sarebbero passati sul Sole nel 1631 per un osservatore che li osservava da Parigi: il 7 novembre per Mercurio e il 6 dicembre per Venere. Per far capire quanto sia difficile calcolare il transito dei due pianeti sul Sole basti pensare che il raffinatissimo matematico Keplero affermò che dopo il 1631 il successivo transito di Venere sarebbe accaduto nel 1761: si sbagliava, come sappiamo, in quanto non aveva realizzato che i transiti di Venere avvengono a coppie a distanza di otto anni. Anche la previsione per il 1631 non si dimostrò del tutto esatta, in quanto il Sole era sotto l’orizzonte al momento del passaggio del pianeta. La previsione di Keplero per il transito di Mercurio si dimostrò, invece esatta a meno di un errore di 5 ore, un errore veramente piccolo per l’epoca: Keplero non potè osservarlo in quanto era morto un anno prima. Così la prima persona ad avere mai osservato il fenomeno di un passaggio di un pianeta - Mercurio - sul Sole fu Pietro Gassendi il 7 novembre 1631 a Parigi. Gassendi faceva entrare la luce del Sole in un telescopio, poi, attraverso un foro, in una camera oscura e l’immagine veniva proiettata su uno schermo perpendicolare all’asse dello strumento. Il diametro del Sole era di circa 20 cm ed era diviso in 60 parti. L’altezza del Sole veniva osservata da un collaboratore di Gassendi con un quadrante in modo da avere misure precise sull’entrata e sull’uscita del piane­ta dal Sole. Gassendi tentò di osservare anche il passaggio di Venere ma non poteva sapere che la previsione di Keplero era inesatta e osservò inutilmente il Sole per due giorni.

il primo che predisse correttamente e osservò un transito di Venere fu Jeremiah Horrocks nel 1639. Horrocks, morto a soli 22 anni, fu il primo individuo in Inghilterra a capire il senso della rivoluzione astronomica in atto, ivi compresa l’importanza del telescopio. Egli capì che la previsione di Keplero del passaggio di Venere del 1631 non era completamente errata e riuscì a stabilire che i transiti sono a coppia e calcolò un passaggio per il 1639. Osservò il fenomeno e lo descrisse in Venere vista sul Sole (Venus in Sole visa). Il metodo per l’osservazione era analogo a quello usato da Gassendi per Mercurio, montando un telescopio in modo tale che il suo asse fosse perpendicolare allo schermo sul quale proiettava l’immagine del Sole. Per le dimensioni angolari si serviva di strumenti da lui progettati e realizzati. Le osservazioni di Horrocks, così come quelle di Gassendi, misero in evidenza che sia Venere che Mercurio mostravano un diametro più piccolo di quanto si pensasse. Le distanze planetarie erano, quindi, maggiori di quanto si supponesse e andava corretta per difetto anche la parallasse solare indicata nelle Tavole Rudolfine e posta da Keplero uguale a 57" d’arco. Horrocks la pose uguale a circa 14" d’arco e la distanza Terra-Sole risultava dell’ordine di 15.000 raggi terrestri. Va notato, comunque, che le osservazioni di Horrocks non erano finalizzate al calcolo della parallasse solare quanto piuttosto al calcolo dei nodi dei pianeti inferiori e fu solo nel secolo successivo che gli astronomi realizzarono che i transiti potevano essere utilizzati per il calcolo della parallasse.

La distanza Terra-Sole

Il calcolo della distanza Terra-Sole assumeva un partico­lare significato nel XVIII secolo in quanto da esso sarebbe stato possibile, grazie alla teoria newtoniana della gravita­zione, risalire alle masse dei corpi celesti, alla loro densità, alle loro dimensioni. Per esempio, Newton aveva calcolato un valore errato del rapporto tra la massa della Terra e quella del Sole a causa di un erroneo valore della distanza Sole-Terra che si ripercuoteva su quello dell’accelerazione e quindi sul rapporto tra le masse. Nel 1719 Pound e Bradley stabilirono un valore della parallasse tra 9" e 12" secondi d’arco derivandolo dall’osservazione di Marte in opposizione. Altri valori erano stati trovati con metodi differenti e l’incertezza era grande. Fu Edmund Halley a concepire e a mettere a punto un metodo con cui stimare la parallasse solare mediante l’osservazione del transito dei passaggi di Mercurio e Venere sul Sole. Osservando nel 1676 dall’isola di S. Elena il transito di Mercurio sul Sole tentò una misura della parallasse solare confrontando i suoi dati con quelli raccolti da astronomi in Europa. Il valore era fortemente errato (45") per l’inadeguatezza degli strumenti ed essendo troppo piccola la differenza parallattica per osservatori posti in Europa e a Sant’Elena. Inoltre Halley aveva intuito che solo il passaggio di Venere, opportunamente osservato, poteva risolvere il problema del calcolo della parallasse solare.

Nel 1691, in una memoria letta alla Royal Society di Lon­dra, Halley dava istruzioni perché la comunità scientifica osservasse con la massima scrupolosità il transito di Vene­re che sarebbe avvenuto il secolo successivo, nel 1761, per determinare con la massima precisione la parallasse solare e quindi la distanza media Terra-Sole. Per l’osservazione del transito di Venere del 1761 furono organizzate molte spedizioni: Le Gentil, astronomo e naturalista francese, si recò nelle Indie; l’esploratore Chappe, membro dell’Académie de Sciences di Parigi, si recò in Siberia; un’altra spedizione si recò all’isola Rodrigues nel mare etiope; una spedizione inglese andò all’isola diS. Elena; l’Accademia delle Scienze di Stoccolma inviò astronomi in Lapponia. In definitiva, come riportano Maunder e Moore nel loro libro sul Transito dei pianeti sul Sole, almeno 26 spedizioni furono organizzate per l’osservazione. In Italia vennero fatte osservazioni a Roma, a Bologna e a Firenze. Vari osservatori elaborarono i dati, ma i risultati furono molto diversi a seconda della coppia di località che venivano prese in considerazione: il valore della parallasse era compreso tra gli 8.5" calcolato dal confronto dei dati di Parigi e Stoccolma e i 10.4" calcolato sui dati di Tobolsk in Siberia e Stoccolma. In ogni caso il valore della parallasse risultava di gran lunga inferiore a quello tramandato dalla tradizione e di conseguenza il Sistema Solare doveva essere molto più grande di quello che si pensava.

Immagine dall’Archivio della Pontificia Università Gregoriana (erede del Collegio Romano). Essa illustra il gruppo che prese parte alla spedizione italiana a Muddapur (oggi Madhupur) in Bengala, diretta da Pietro Tac­chini. Il primo a sinistra, seduto, è il gesuita belga Eugenio Lafont, fisico, rettore del St Xavier’s Col­lege di Calcutta al quale Tacchini si appoggiò. Il secondo da sini­stra è Tacchini, e gli altri sono Antonio Abetti, assistente di Lo­renzoni a Padova, il meccanico Antonio Cagnato, pure di Pado­va, Alessandro Dorna di Torino, il barone Carlo Morso di Favarella (a spese sue) e, probabilmente, il console italiano a Calcutta F. Lamouroux che aveva aiutato Tacchini nella scelta della sede.

La disparità dei risultati derivava dal fatto che le coppie di stazioni che venivano prese in considerazione non erano abbastanza lontane e quindi non davano delle differenze sui tempi totali del passaggio sufficientemente consistenti per dare un valore preciso della parallasse. Gli astronomi non conoscevano ancora il metodo, sviluppato a partire dal 1801 da Gauss, che permetteva di usare tutti i dati a disposizione e non solo coppie di dati opportunamente scelti. Ma per fortuna degli astronomi il prossimo transito di Venere sarebbe avvenuto dopo pochi anni, nel 1769, e quindi avrebbero potuto trarre profitto dall’esperienza acquisita. Furono organizzate un numero estremamente elevato di spedizioni e i risultati furono più soddisfacenti in quanto lo scarto tra il valore massimo e quello minimo della parallasse diminuì rispetto allo scarto del 1761. Tra le spedizioni rimane famosa quella del capitano James Cook a Tahiti.

La parallasse

Come abbiamo detto, Gauss aveva elaborato un metodo, quello dei minimi quadrati, che permetteva di usare tutte le misure che erano state fatte e non solo una coppia opportunamente scelta. Nell’Ottocento, in attesa dei transiti che sarebbero avvenuti nella seconda metà del secolo, l’astronomo tedesco Johann Franz Encke, vicedirettore dell’Osservatorio di Seeberg, rielaborò i dati che gli astro­nomi del secolo precedente avevano raccolto e ottenne un valore della parallasse che sarebbe stata accettata per oltre mezzo secolo. Il valore della parallasse oscillava tra 8.5" e 8.9" con un’incertezza relativa di alcuni decimi di secondo. Il valore più accreditato era 8.57" con uno scarto di circa 1/200 del suo valore. Per arrivare a un’incertezza fino al centesimo di secondo si sarebbero dovuti attendere i passaggi di fine Ottocento. A partire dalla seconda metà dell’Ottocento una serie di osservazioni ed esperimenti perfezionarono la conoscenza della parallasse. Innanzitutto le teorie gravitazionali avevano spiegato alcune irregolarità del moto della Luna facendolo derivare dal rapporto delle distanze del Sole e della Luna dalla Terra. L’astronomo danese Hansen, nel 1854, sfruttando questo metodo, arrivò a un valore di parallasse di 8.92", leggermente superiore a quello derivato dai transiti. Analoga­mente, l’astronomo francese Leverrier, lo scopritore di Nettuno e delle anomalie dell’orbita di Mercurio, trovò un valore di 8.95" sfruttando il principio che le deviazioni osservabili delle orbite di Venere e Marte, rispetto a quelle teoriche per un sistema a due corpi (Sole-pianeta), dipendevano dal rapporto delle masse del Sole e della Terra che a loro volta erano legate alla parallasse. Un altro contributo alla rettifica del valore della parallasse venne dallo studio della velocità della luce, il cui valore fu posto uguale a 299.860 ± 60 km/s con una precisione di 1/5000 del suo valore che, sostituito nell’equazione dell’aberrazione, dava un valore di parallasse di 8.8" con un’incertezza non superiore a 0.01". Nel 1862, inoltre, vennero eseguite molte osservazioni della declinazione di Marte in opposizione da postazioni dislocate sia nell’emisfero Nord che in quello Sud e si trovò un valore della parallasse di 8.86". Si avvicinava intanto un nuovo passaggio di Venere e gli astronomi furono sollecitati a capire le ragioni della disparità dei valori calcolati e trovarono il punto debole delle osservazioni precedenti nell’osservazione della fase di contatto che risultava essere più sfumata e indistinta di quanto si immaginasse. L’altro problema era costituito dalla cosiddetta goccia nera che consisteva in un prolunga­mento scuro che univa i bordi separati dei due corpi celesti in prossimità dei contatti interni. Una proposta per evitare molti dei problemi delle osservazioni precedenti era quella di usare la tecnica fotografica da poco introdotta, e con molte incertezze, nella pratica astro­nomica. Fu questa la novità più importante introdotta nelle tecniche di osservazione del transito di Venere del 1874. Dalle decine e decine di spedizioni e dalla conseguente mole di dati ci si aspettava di trovare un valore della parallasse con un errore di 0.01". In effetti il valore trovato -8.83"- era affetto da un’incertezza di 0.12".Le possibilità di migliorare il risultato era dato dal passaggio del 1882 che moltissimi astronomi avevano speranza di poter osservare prima che Venere si rivedesse sul Sole dopo 122 anni. Ma anche questa volta i risultati non furono soddisfacenti.

Nel 1895 Newcomb rielaborò i risultati e individuò due valori per la parallasse solare dedotta dal transito di Venere: il primo era dedotto dalle osservazioni del XVIII e XIX secolo, il secondo poggiava sulle osservazioni fotografiche americane e francesi dei transiti del XIX secolo. Newcomb paragonò poi i valori di parallasse calcolati con diversi metodi: equazione lunare del moto della Terra, misure fotografiche dei transiti di Venere del 1874 e 1882; osservazione di Marte in Ascensione; osservazione dei contatti durante il transito di Venere del 1761, 1769, 1874, 1882; calcolo della massa terrestre risultante dalle variazioni secolari delle orbite dei pianeti interni; ineguaglianza parallattica della Luna; osservazioni eliometriche dei pianeti minori; determinazione della costante di aberrazione fatta a Pulkowo; determinazione della costante di aberrazione fatta in stazioni diverse da Pulkowo. Nella tabella compilata da Newcomb gli errori medi scaturivano dall’analisi dei dati senza considerare i possibili errori sistematici.


I pesi erano stati convenientemente assegnati in maniera che il peso unitario corrispondesse all’errore medio di 0.030". Facendo una media pesata Newcomb ottenne per la parallasse un valore di 8.797" che aumentava se si scartava il valore di parallasse determinato dal valore della massa terrestre che presentava delle incongruenze.



In questo modo il valore della parallasse desunto dai transiti di Venere differiva dal valore medio di 0.06" che era uno scarto maggiore di quello probabile calcolato. Secondo Newcom tale discrepanza era da imputare al fatto che l’osservazione del transito era affetta da parecchi errori sistematiciIn definitiva il transito di Venere non si prestava a un calcolo della parallasse solare.
Nel 1901 il passaggio del pianetino Eros offrì l’opportunità per il miglioramento della misura di parallasse e si ottenne un valore di parallasse di 8.807"± 0.003" e tali misure, ripetute nel 1931, diedero un valore di 8.790"± 0.001". Il valore attualmente accettato è 8.794148" ± 0.000007" ottenuto con tecniche radar nel 1976.



Simon Newcomb


[N.d.R. La selezione delle immagini di questo articolo è stata curata dal Rev. Sabino Maffeo, S. J. della Specola Vaticana di Castelgandolfo - Roma]


Bibliografia

-Jeremiah Horrocks, Venus in Sole Visa. Scritto nel 1640 il testo fu pubblicato da Hevelius a Danzica nel 1662

-Edmund Halley, "De Visibili Conjunctione Inferiorum Planetarum cum Sole, Dissertatio Astronomica" Philo­sophical Transactions of the Royal Society of London 1693, 17, 511-522

-Simon Newcomb, The Elements of the Four Inner Planets and the Fundamental Constants of Astronomy (U.S. Govt. Printing Office, Washington, DC, 1895).

-Allan Chapman, The Transits of Venus, Endeavour, 22 (1998), 148-151

-Michael Maunder, Patrick Moore (1999) Transit. When Planets Cross the Sun (London: Springer, 1999).

-Sandro Baroni, Venere e il Capitano Cook, Astronomia UAI, 7, 17 (1988).

 


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