Una
grande competenza ed esperienza, una grande passione per l'argomento
trattato, una grande cura nella ricerca delle informazioni note e meno
note, nonché uno stile accattivante e inconfondibile: queste,
in sintesi, le ragioni che rendono il volume di Luigi Prestinenza MARTE,
TRA STORIA E LEGGENDA un'autentica gemma nella bibliografia scientifica
di questi ultimi anni.
Come noto, Luigi Prestinenza è da una vita astrofilo di enorme
spessore e giornalista scientifico di imbattibile chiarezza e precisione.
Questo lavoro su Marte ne è una dimostrazione eccellente: il
volume si legge infatti come un romanzo (ossia tutto d'un fiato) ma
nel contempo contiene una quantità enciclopedica di informazioni
scientifiche sulla storia del Pianeta Rosso.
I 12 capitoli vogliono essere un collegamento ideale tra due grandi
opposizioni di Marte: quella di Schiaparelli del 1877 e quella dell'agosto
2003 che tutti abbiamo potuto seguire con gli strumenti (terrestri e
spaziali) della moderna tecnologia. Molte informazioni sono poco note
e, in parte sorprendenti.
Pochi sanno, per esempio, che fu G. D. Cassini nel 1672 a determinare
per Marte una distanza di circa 240 milioni di chilometri, grazie alla
misura dello spostamento prospettico del pianeta in mezzo alle stelle
quando osservato da Parigi e dalla Guyana (lì si era appositamente
recato il suo assistente J. Richer).
Altrettanto poco noto è il fatto che fu C. Huygens nel 1659 a
fare i primi disegni della Syrtis Major dal cui spostamento sul disco
del pianeta dedusse un periodo di rotazione molto vicino alle 24 ore.
Il problema dei canali è ben noto: Schiaparelli li "scoprì"
nel settembre del 1877 col rifrattore Merz da 218 mm di Brera e li "duplicò"
nel 1882 col nuovo Merz da 490 mm; nel 1894 P. Lowell ne ottenne la
"conferma" col "suo" rifrattore da 61 cm di Flagstaff.
Lowell disegnò la bellezza di 437 canali, ma la loro sottigliezza
quasi "tecnologica" era dovuta (ci spiega Prestinenza) alla
forte diaframmatura utilizzata per neutralizzare il seeing non ottimale
di quel sito di osservazione.
Il mito dei canali venne cancellato dal seeing memorabile di una notte
del settembre 1909, quando E. Antoniadi non ne rilevò traccia
su un disco marziano che appariva di incredibile nitidezza nel grande
rifrattore da 83 cm della specola di Meudon.
Prestinenza, però, ci informa che già a partire dal 1897
l'italiano V. Cerulli, osservando Marte da Collurania col rifrattore
Cooke da 39 cm, si era reso conto che i canali null'altro erano che
un'illusione ottica.
L'occhio infatti possiede una fisiologica tendenza a collegare tra loro
dettagli dotati di scarsa nitidezza e risoluzione: non si poteva spiegare
altrimenti il fatto che lo stesso Cerulli percepiva tanti più
"canali" quanto più Marte si allontanava dalla Terra.
Prestinenza ci racconta anche che Schiaparelli, probabilmente, credette
ai suoi canali fino alla morte. Nel luglio 1907 mostrò a Cerulli
(allora presidente della Società Astronomica Italiana) fotografie
inviategli da P. Lowell che sembravano documentare in maniera obiettiva
l'esistenza dei canali e della loro geminazione.
Molto polemica, poi, a pochi mesi dalla morte, una lettera inviata nel
dicembre 1909 ad Antoniadi, il maggior nemico dei "suoi" canali.
Forse la polemica venne riaccesa da alcuni disegni di Marte ricchi di
canali, che Schiaparelli, ormai anziano e malato, realizzò nel
luglio 1909: grande merito dell'autore del libro è quello di
avere, per la prima volta, scovato questi disegni a Milano, nell'archivio
dell'Osservatorio di Brera.
Con la morte di Schiaparelli (1910) e di P. Lowell (1924) la scienza
ufficiale finì per dimenticare i canali (o se vogliamo l'idea
dell'esistenza su Marte di qualche civiltà tecnologica). Non
così il grande pubblico, che vi rimase affezionato fino alla
metà del secolo scorso (è del 1953 il film la Guerra
dei Mondi, nella quale i Marziani, invasori della Terra, venivano
sterminati dai batteri terrestri cui non si erano adattati). Nel 1947
G. Kuiper scoprì che l'atmosfera di Marte è composta fondamentalmente
da CO2, con tracce minime di vapor d' acqua (A. Dollfus, 1963).
Come se non bastasse, nel luglio 1965 le 22 immagini del Mariner 4 sembrarono
dimostrare che Marte era un deserto lunare butterato da crateri (per
inciso il libro ci informa che il primo a intuire la presenza di crateri
meteorici su Marte fu E. Barnard già nel 1894 al Lick Observatory).
Come tutti sanno, i successivi 40 anni di esplorazioni spaziali hanno
mostrato che Marte è un pianeta ben diverso dalla Luna. La scoperta
di grandi vulcani e tracciati di fiumi estinti (Mariner 9, 1971), la
ricerca diretta (e tuttora molto controversa) di elementari forme di
vita (Viking, 1976), l'esistenza di grandi quantità di acqua
liquida (nel passato) e ghiacciata (nel presente) (Mars Global Suveyor,
1997 e Odissey 2001) sono storia recente.
L'autore ne fa una descrizione precisa, concisa e completa. Così
come precisi e scientificamente ricchi di spunti sono i cenni ai primi
grandi risultati di SPIRIT ed OPPORTUNITY, comprese le famose sferule
di ematite simpaticamente definite ...enigmatiche "bacche"
rotonde, grosse come un grano di pepe.
La parte finale del libro è dedicata (e non poteva essere altrimenti)
a una discussione sulla possibilità che l'uomo metta direttamente
piede su Marte. Molto correttamente l'autore fa notare come uno dei
problemi maggiori da superare sarà quello di proteggersi dal
flusso di particelle cosmiche che su Marte, attualmente privo di campo
magnetico, arrivano senza nessuna protezione (i dati di Odissey 2001
sono inequivocabili al riguardo).
A parte questo, però, secondo Prestinenza, i rischi moderni del
grande viaggio sono confrontabili a quelli incontrati nel passato dai
Vichinghi per raggiungere la Groenlandia o dallo stesso Colombo per
conquistare l'America.
L'autore, comunque, dà l'impressione di non credere molto a una
conquista umana di Marte vicina nel tempo. Ha perfettamente ragione
e ne dà chiara spiegazione nella inaffidabilità delle
promesse dei politici ai quali tocca concedere i fondi per questa memorabile
impresa (nell'agosto 1969, dopo la conquista della Luna, Von Braun presentò
alla NASA il primo progetto per la conquista di Marte ma, resosi conto
che lo spazio non "tirava" più dal punto di vista politico,
lasciò la NASA per un'industria privata).
La ricaduta tecnologica sarebbe immensa e, se necessario, il clima di
Marte potrebbe addirittura essere modificato per farne una futura colonia
della Terra. Fantascienza? Forse. Sta di fatto che anche su questo punto
l'autore snocciola idee, dati e proposte che costituiscono una conclusione
naturale e inevitabile per questo splendido volume che non deve assolutamente
mancare nella biblioteca di chiunque, sia esso astrofilo o, semplicemente,
persona desiderosa di migliorare la propria dotazione culturale.
Sì, perché uno dei pregi di quest'opera è quello
di insegnare molte cose divertendo e senza mai annoiare: ma, in fondo,
questo fa parte delle capacità comunicative davvero non comuni
del suo autore.
Cesare Guaita
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