Giovanni Pascoli
Da Commissione Divulgazione - Unione Astrofili Italiani.
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San Lorenzo, io lo so perché tanto<br>di stelle per l'aria tranquilla<br>arde e cade, perché sì gran pianto<br>nel concavo cielo sfavilla. | San Lorenzo, io lo so perché tanto<br>di stelle per l'aria tranquilla<br>arde e cade, perché sì gran pianto<br>nel concavo cielo sfavilla. | ||
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Ed incrociò con la sua via la strada<br>d'un mondo infranto, e nella strada ardeva, <br>come brillante nuvola di fuoco,<br>la polvere del suo lungo passaggio. <br>Ma niuno sa donde venisse, e quanto<br>lontane plaghe già battesse il carro<br>che senza più l'auriga ora sfavilla<br>passando rotto per le vie del Sole.<br>Né sa che cosa carreggiasse intorno <br>ad uno sconosciuto astro di vita,<br>allora forse di su lui cantando<br>i viatori per la via tranquilla;<br>quando urtò, forviò, si spezzò, corse<br>in fumo e fiamme per gli eterei borri,<br>precipitando contro il nostro Sole, <br>versando il suo tesoro oltresolare: stelle;<br>che accese in un attimo e spente,<br>rigano il cielo d'un pensier di luce.<br> | Ed incrociò con la sua via la strada<br>d'un mondo infranto, e nella strada ardeva, <br>come brillante nuvola di fuoco,<br>la polvere del suo lungo passaggio. <br>Ma niuno sa donde venisse, e quanto<br>lontane plaghe già battesse il carro<br>che senza più l'auriga ora sfavilla<br>passando rotto per le vie del Sole.<br>Né sa che cosa carreggiasse intorno <br>ad uno sconosciuto astro di vita,<br>allora forse di su lui cantando<br>i viatori per la via tranquilla;<br>quando urtò, forviò, si spezzò, corse<br>in fumo e fiamme per gli eterei borri,<br>precipitando contro il nostro Sole, <br>versando il suo tesoro oltresolare: stelle;<br>che accese in un attimo e spente,<br>rigano il cielo d'un pensier di luce.<br> | ||
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Versione corrente delle 22:29, 2 ago 2009
10 AGOSTO
San Lorenzo, io lo so perché tanto
di stelle per l'aria tranquilla
arde e cade, perché sì gran pianto
nel concavo cielo sfavilla.
Ritornava una rondine al tetto:
l'uccisero: cadde tra spini:
ella aveva nel becco un insetto:
la cena de' suoi rondinini.
Ora è là, come in croce, che tende
quel verme a quel cielo lontano;
e il suo nido è nell'ombra, che attende,
che pigola sempre più piano.
Anche un uomo tornava al suo nido:
l'uccisero: disse: Perdono;
e restò negli aperti occhi un grido:
portava due bambole in dono…
Ora là, nella casa romita,
lo aspettano, aspettano in vano:
egli immobile, attonito, addita
le bambole al cielo lontano.
E tu, Cielo, dall'alto dei mondi
sereni, infinito, immortale,
oh! D'un pianto di stelle lo inondi
quest'atomo opaco del Male!
Il ciocco Canto II
Ed incrociò con la sua via la strada
d'un mondo infranto, e nella strada ardeva,
come brillante nuvola di fuoco,
la polvere del suo lungo passaggio.
Ma niuno sa donde venisse, e quanto
lontane plaghe già battesse il carro
che senza più l'auriga ora sfavilla
passando rotto per le vie del Sole.
Né sa che cosa carreggiasse intorno
ad uno sconosciuto astro di vita,
allora forse di su lui cantando
i viatori per la via tranquilla;
quando urtò, forviò, si spezzò, corse
in fumo e fiamme per gli eterei borri,
precipitando contro il nostro Sole,
versando il suo tesoro oltresolare: stelle;
che accese in un attimo e spente,
rigano il cielo d'un pensier di luce.