Alle origini delle Selenografia

Da Commissione Divulgazione - Unione Astrofili Italiani.

di Francesco Castaldi*


All’inizio si contrapposero due sistemi: quello di Riccioli e quello di Hevelius. Il primo, alla fine, la spuntò. Forse, per la preferenza accordatagli dal grande Cassini.

Il Plenilunio di Van Langren, il cui titolo si può tradurre con "Vedute austriaco-filippiche del Plenilunio": il riferimento è al fatto che Langrenus era cosmografo dell'Imperatore


Nella nomenclatura ufficiale moderna Langrenus è un bel cratere situato nella regione orientale del Mare della Fecondità


Plenilunio di Hevelius da "Selenografia" (Biblioteca dell'Osservatorio di Brera, Milano)


In questa immagine ritroviamo, con l'imprimatur della nomenclatura attualmente accettata, alcuni dei protagonisti della storia della selenografia: nella parte occidentale della Luna ecco i crateri Hevelius, Grimaldi e Riccioli


Il Plenilunio del Riccioli. Lo stesso disegno si trova riprodotto in "Astronomia reformata" (Biblioteca dell'INAF, Osservatorio Astronomico di Brera, Milano



L'area della Luna con i nomi più "compromessi" (disegno originale di Alfonso Zaccaria)


Una bella immagine della Luna piena con riportata la nomenclatura dei giorni nostri per quanto riguarda i mari e i crateri principali



Dove e quando prese le mosse la denominazione dei mari, dei crateri e degli altri dettagli del suolo lunare? Non bisogna fare molta strada: il luogo di battesimo è Bologna, qualche tempo prima del 1651, allorché il gesuita, matematico e astronomo Giovanni Battista Riccioli pubblicò l’Almagestum novum, due grossi volumi da considerare come la più completa e approfondita enciclopedia dell’astronomia che fosse mai stata compilata dall’antichità fino ad allora. Fra l’altro, vi sono illustrati, con dovizia di spiegazioni matematiche, tutti i sistemi del Cosmo, tanto che alla puntuale trattazione di quello kepleriano attinsero gli stessi seguaci del grande matematico tedesco, apprezzandone la chiarezza e la completezza dell’esposizione. L’opera ebbe diffusione europea, rafforzata dalla pubblicazione della Astronomiae reformatae tomi duo, del 1665, dove Riccioli illustrò anche un suo sistema di calcolo delle posizioni di Sole e pianeti in un modo che lo metteva al passo con i contemporanei kepleriani europei.


I predecessori

Di predecessori veri e propri ce n’è uno solo, l’inglese William Gilbert, un copernicano, sperimentatore di fenomeni sul magnetismo, che verso la fine del ‘500 abbozzò, senza pubblicarla, una selenografia a occhio nudo. Appioppò 13 nomi, fra i quali non poteva mancare l’isola Britannia. Da notare che considerò continenti e isole le macchie scure, e acque le zone più chiare, in accordo con le opinioni dei filosofi. Il primo a contrastare questo modo di pensare fu Galileo.

Ad ogni modo, finché al cannocchiale la Luna non ebbe rivelato i particolari del suo aspetto, e ancora per qualche decennio dopo, a nessuno venne in mente di denominare i suoi dettagli. Va così a merito del fiammingo Michael Florent Van Langren (in latino, Langrenus) l’avere inaugurato la tradizione. Scrisse un trattato e pubblicò una mappa a Bruxelles, nel 1645.

Leggiamo da uno storico moderno, E.A.Whitaker: “Fin dal 1633 egli aveva deciso che nomi di uomini illustri sarebbero stati usati per distinguere le montagne e le isole luminose e brillanti del globo lunare. Per difendere la sua priorità Van Langren preparò una versione più semplice, disegnata a mano e colorata, della mappa e la fornì di 48 nomi per dotare lo schema generale di caratteristiche disegnate e nomenclatura. La mappa finale stampata fu pubblicata come foglio unico nel marzo 1645: al giorno d’oggi, solo di 4 copie se ne conosce l’esistenza”.

La nomenclatura in effetti appare una miscellanea di nomi di re, imperatori e nobili; di città (Roma, Parigi, ecc.); di santi; di uomini illustri, oppure noti solo a lui. Personalmente si era riservato il Mare Langreni corrispondente all’attuale Mare Foecunditatis.

Riccioli fornisce qualche notizia ulteriore sull’opera di Van Langren: “(...) cominciò con un grande e valido telescopio a fare osservazioni alle pur minime macchie della Luna, una per una, e soprattutto a quelle per le quali si vede passare il terminatore lunare sia nelle illuminazioni parziali, sia nelle eclissi: e tanti altri particolari, molto degni di rilevazione, che ordinò in 300 schemi (fra cui certuni grandi) incisi con le proprie mani su rame, giungendo a comporre un’intera opera, anche se ancora non pubblicata ad eccezione, nel 1645, di uno schema completo di plenilunio che in certo modo è il primo foglio della sua opera. Un esemplare di questo, in grazia della sua liberalità, lo ha trasmesso a me assieme a molti altri dati”. Non risulta che le incisioni, di cui qui si parla, fossero state pubblicate, né si conosce la fine della copia posseduta dal Riccioli.

Giungiamo così a Johannes Hevelius, noto astrofilo di Danzica, che nel 1647, pubblicando la sua Selenographia, racconta le ragioni che lo avevano indotto (senza nominare il lavoro di Van Langren) a inventare una nomenclatura ragionata: “In un primo tempo ero d’avviso che non sarebbe stato disdicevole agire sull’esempio degli antichi astronomi che avevano imposto alle costellazioni nomi di personaggi eccellenti (...) come Ercole, Cassiopea, Andromeda, Cefeo, Perseo, ed altri. (...) In funzione di questa linea mi ero proposto anch’io di collegare tutti i territori della Luna ai nomi di uomini oggidì fra i più famosi e dotti, a cominciare da quelli che nei nostri tempi approfondirono in modo valido gli studi della matematica (...); e con questa decisione trasferire, su questa reale terra eterea, l’Oceano Copernicano, l’Oceano Ticonico, il Mare Kepleriano, il Lago di Galileo, la Palude di Mästlin, l’Isola Scheineriana e così di seguito”.

Ma Hevelius immagina che non sarebbe riuscito ad evitare omissioni, involontarie offese e conseguenti inimicizie. E così si rivolge all’altra ipotesi che è quella di prendere in prestito nomi di zone ben note della Terra: “(...) pensiamo precisamente a una parte di Europa, Asia e Africa comprendente il Mare Mediterraneo, il Mar Nero, il Caspio e tutte le relative regioni incluse fra loro e adiacenti che sono: Italia, Grecia, Anatolia, Palestina (...)”. E così fece una mappa con le denominazioni e poi un elenco completo di queste con relative brevi spiegazioni.

Nella nomenclatura moderna sono sopravvissuti solo sette dei nomi proposti da Hevelius, relativi a catene montuose: Alpes, Apennini, Carpatus, Caucasus, Riphaeus, Taurus e Promontorium Taenarium. Ben poca cosa rispetto ai circa 260 elencati nella Selenographia. Quanto al temuto disappunto da parte degli esclusi, ne leggiamo un segnale su di una lettera del 14 gennaio 1647 di Costantin Huygens (padre del famoso Christiaan): sul bordo a nord-ovest, Van Langren aveva denominato Hugenius (latinizzazione di Huygens) il cratere che, secondo la nomenclatura del Riccioli, ora si chiama Mercurius; con Hevelius era diventato Lacus Iperboreus Inferior. E Costantin se ne rammarica.

Ad ogni modo, se Hevelius non osò attribuire nomi di personaggi famosi ai luoghi della Luna, il Riccioli non ebbe alcuna esitazione a farlo: fu una scelta astuta perché egli sapeva bene che l’accettazione della sua mappa sarebbe dipesa da molti uomini di scienza, ancora viventi, che si trovavano ivi indicati. Non solo, ma apriva la strada ad aggiungere i nomi di futuri scienziati alla tormentata geografia lunare.


Le scelte vincenti

Leggiamo prima di tutto quanto Riccioli riferisce su chi gli diede l’aiuto essenziale nell’impresa, un confratello che operava dal loro Osservatorio in pieno centro di Bologna: “A dire il vero, ancorché già sapessi della diligenza, prudenza e affidabilità di p. Francesco Maria Grimaldi in osservazioni di questo genere (...), egli si sobbarcò la maggior parte di questo lavoro. Quindi, programmate le osservazioni per il controllo della Luna, egli vigilò per diversi anni con estrema attenzione ed assiduità, come un nuovo, ma più fortunato Endimione [mitico dio amato dalla Luna, ndA] del nostro secolo: considerò attentamente tutte le zone della faccia della Luna grandi, medie e piccole, una alla volta col telescopio, paragonandole costantemente con gli schemi di Van Langren e di Hevelius, che usava tenere sott’occhio. Si accorse tuttavia che, di molte cose fatte egregiamente da loro, ne rimanevano non poche che sarebbero state da aggiungere o da correggere quanto alla localizzazione, alla grandezza, alla sagoma, alla simmetria, alla differenza di chiaroscuri. Pertanto, delineando nuovi schemi e sempre di più altri particolari migliori dei precedenti, di persona non si diede tregua finché non gli sembrò di avere raggiunto l’evidenza della chiarezza sia sulle minime, sia sulle parti note della faccia lunare (...)”. Francesco Grimaldi, che qui troviamo nelle vesti del perseverante ritrattista della Luna, fu anche esperto sperimentatore di ottica.

La nomenclatura lunare fu però opera del Riccioli che dice di avere scelto i nomi di persone “(...) solo fra quelli che furono astronomi, e non astrologi da oroscopi. Ad ogni modo dichiariamo apertamente che noi prendiamo le distanze nel modo più assoluto dall’errore di coloro che supposero la Luna abitata da altri uomini oppure che per meriti vari le anime degli uomini valorosi o anche di altri mortali, dopo la morte, trasmigrassero in svariati luoghi d’asilo nella Luna”.

Dopo questa precisazione, che ci fa comprendere certa mentalità dell’epoca, il Riccioli spiega di aver assegnato a zone della Luna nomi che richiamano fenomeni meteorologici, o immaginosi, senza voler ingannare nessuno quanto a validità di analogie: “(...) come la neve sulla Terra Nivium, il sonno della Palus Somniorum, ecc.”. A questo punto, descrive la parte più interessante della collocazione dei nomi, fatta dopo aver diviso la Luna in otto spicchi, con vertici nel centro, che chiama ottanti e numerati da I a VIII, procedendo in senso orario a partire da sopra l’Oceanus Procellarum, per intenderci.

Il primo spicchio (I) associa nomi fantasiosi di terre, mari, golfi, laghi, ecc., a fatti meteorologici (freddo, piogge, grandine, ghiaccio, siccità, ecc.) o a condizioni negative estreme (morte, putredine), per migliorare gradualmente, sul finire del III spicchio, col Mare della Serenità andando verso quelli della Tranquillità, del Nettare e della Fecondità. Stessa sorte per le Terrae limitrofe, partendo da quella della Vita, verso quelle della Salute, del Vigore, della Manna, fino a quella della Fertilità (VI). Con gli spicchi VII e VIII si passa da aree poco nocive sui bordi (Terre della Sterilità e del Calore) ma sempre peggiori andando verso il centro, con le Penisole dei Deliri e dei Fulmini, i Golfi delle Epidemie, dei Calori Soffocanti, ecc., per culminare nell’Isola dei Venti, dominata dal cratere Keplero.

Ma per passare ai nomi propri, dobbiamo prima di tutto capirne di più sulla cattiva o buona fama dei personaggi scelti dal Riccioli, perché tutto dipendeva da quel che ognuno aveva pensato circa la stabilità o i moti della Terra.

Nel solo moto di rotazione giornaliera, Riccioli considerava implicati, in senso negativo, “(...) Platone e Iceta Siracusano, Ecfanto Pitagorico ed Eraclide Pontico, e successivamente copernicani e semicopernicani; di questa seconda classe fanno parte William Gilbert, Longomontano, Muller, Origanus e Argoli. Costoro (...) per non concedere una velocità incredibile alle stelle fisse, dicono che è la Terra stessa che, assieme all’atmosfera, fino alla regione più profonda si muove tutta verso est (...). Ma questa opinione asserita in modo assoluto e non in via ipotetica è stata condannata dalla Sacra Congregazione (...)”. E seguono le solite citazioni sul Decreto del 1616 e la messa al bando del copernicanesimo, a meno di non trattarlo alla stregua di mera ipotesi.

Gli incriminati per entrambi i moti di rotazione diurna e rivoluzione annua della Terra erano invece: “(...) Filolao Pitagorico e Aristarco di Samo (...); allo stesso modo, successivamente lo asserirono non soltanto in via ipotetica, ma anche in senso assoluto, Nicola Cusano, Niccolò Copernico (...), Rhetico, Mästlin, Schickard, Keplero, Rothmann, Calcagnini, Diego da Zuniga, Foscarini, Galileo, Stevino, Filippo e Giacomo Lansberg, Herigone, Boulliau. In effetti, per quanto lo riguarda, Gassendi, conosciuto il Decreto della S. Congregazione, alla fine della lettera 2 del De motu Terrae a motore translato, si quietò una volta per tutte sull’immobilità della Terra”. Pierre Gassendi, prevosto della cattedrale di Digne, astronomo, matematico e filosofo, è appena fuori dalla Penisola dei Fulmini (VII), per ricordargli quelli che stavano per cadergli addosso a causa non solo di Copernico, ma anche del suo credo di atomista epicureo. Invece, per essersi ravveduto in tempo, Gottfried Wendelin si guadagnò un cratere nel Mare della Fecondità (V), dalla parte opposta rispetto all’Oceano delle Tempeste.

Segnaliamo che, fra tutti quelli assegnati da Riccioli, 27 nomi di personaggi ora non sono più in uso, sostituiti da altri più recenti; tuttavia, del Riccioli ne restano 177. Invece, la metà dei nomi di fantasia di terre, paludi, ecc. sono spariti dalla nomenclatura moderna; del Riccioli ne restano 20.


Le ragioni delle scelte

Ora possiamo riprendere il discorso di Riccioli: “Ho affermato di non avere distribuito a caso i nomi predetti sul disco della Luna. Sicché, attorno alla parte superiore ho collocato i più antichi e nel I e quasi II ottante la maggior parte dei fisico-astronomi, nel III e IV e nell’inizio del V e VI i rimanenti degli antichi. Nella parte inferiore, che comprende parte del V, il VI, VII e VIII ottante ho inserito i più recenti. Inoltre ho ricercato l’affinità o la similitudine sia di tempo, sia di studi, sia di scuola o di congruenze di tal genere, per quanto ho potuto. Per esempio, accanto a Metone ho messo Euctemone, come compagno nelle osservazioni; e a Platone gli aiutanti Teeteto, Timeo e Archita e non lontano da lì ho collocato Aristotele. Così Callippo ad Eudosso, Mercurio ad Atlante, Sosigene a Cesare, Tolomeo accanto a Ipparco e a questo Albategno (...); non diversamente, misi accanto a Copernico i suoi, Rhetico [oggi altrove, perché non rilevante il posto assegnatogli da Riccioli], Mästlin [dimenticato dal Riccioli, ma ripescato dai moderni e sistemato vicino al suo allievo Keplero], Reinhold e altri per la maggior parte di quella scuola che proprio di proposito preferii che fossero sparsi nell’Oceano delle Procelle come isole galleggianti, piuttosto che stabili, a causa dell’instabilità della Terra da loro asserita; e così in altri casi cercai non poche analogie, come all’erudito lettore piacerà considerare”.

Non siamo sicuri di essere eruditi lettori, come di noi avrebbe gradito il Riccioli, però accettiamo di approfondire questo tema che ci porta a considerare sotto una nuova luce l’attribuzione della nomenclatura lunare. Dunque il Riccioli non operò solo una studiata distribuzione dei nomi, ma si divertì a comporre situazioni dal significato evidente per chi è al corrente degli sviluppi del pensiero in campo astronomico.

Come esempio valido a chiarire le ragioni della discriminazione operata dal Riccioli, andiamo a controllare i nomi da lui utilizzati per denominare i luoghi della zona più meteorologicamente aspra, l’Oceano delle Tempeste e dintorni. Comprendiamo così perché il cratere Keplero si erge nell’Isola dei Venti, come a dire il posto più a rischio. Nell’elenco abbiamo anche due cardinali: meraviglia, ma solo fino a un certo punto, la presenza di Bessarione, sostenitore di Platone e pertanto della rotazione della Terra attribuita a questo filosofo; nessuna meraviglia invece per Nicola Cusano, che con le sue affermazioni di Universo infinito, senza centro, di altri Universi, ecc., ispirò certe idee radicali a quel facinoroso di Giordano Bruno. Al modo di Dante Alighieri, che non aveva esitato a condannare alla pena eterna un poco di papi, così Riccioli abbandonò il cardinal Cusano nell’Oceano delle Tempeste. I moderni lo hanno riabilitato collocandolo sul bordo a nord.

Troviamo poi Dom. Maria (VIII) con riferimento a Domenico Maria Novara, messo qui perché storicamente legato al nome del suo allievo Copernico e quindi colpevole di avere iniziato all’astronomia questo tranquillo giovanotto polacco che era stato mandato all’Università di Bologna per studiare ben altre materie. Ora il suo nome non figura più e il suo posto è stato assegnato a Stadius, al secolo Jan Stade, compilatore belga di effemeridi calcolate sul modello di Copernico dopo il 1560.

Reinholdus (VIII): Erasmus Reinhold, otto anni dopo la pubblicazione del De revolutionibus, con le sue Tabulae Prutenicae dimostrò l’applicabilità pratica del sistema copernicano, fornendo risultati migliori di quelli delle Tavole Alfonsine derivate dall’Almagesto di Tolomeo.

Milichius (VIII), di nome Jacobus, fu precettore di Rheinhold e quindi si ripete la situazione del Novara. C’è Moletius (VIII), cioè Giuseppe Moleto, professore di matematica a Padova, colpevole di avere pubblicato le sue Tabulae gregorianae dedotte dalle Prutenicae.

Lansbergius e Hortensius (VIII), rispettivamente Philippus e Martinus, legati da osservazioni celesti e lavori comuni, considerarono la Terra in moto attorno al Sole. Se poi parliamo dell’altro Lansberg, Iacobus, allora andiamo peggio perché nel 1633 scrisse alcuni commenti in difesa del padre sul moto diurno e annuo della Terra contro il geocentrista L. Fromondo. Origanus (VIII), vero nome David Tost, é collocato nella Penisola dei Deliri: lo stesso Riccioli informa che, per avere espresso pareri temerari sull’astrologia giudiziaria e sul moto della Terra, era stato censito fra gli autori all’Indice. In effetti, anche lui aveva composto effemeridi in base alle Tabulae Prutenicae. Quanto a Christophorus Rothmannus (VII), le discussioni epistolari con Tycho Brahe lo dimostrano copernicano senza ripensamenti. Vicino è il cratere Guglielmo d’Assia (VI), suo non innocente mecenate. Iunctinus (VII), al secolo Francesco Giuntini, fiorentino, nato nel 1523, aperto alle novità in campo astronomico; all’età di 50 anni pubblicò a Lione le sue tavole astronomiche dichiaratamente copernicane. Herigonius (VII), al secolo Pierre Herigone, professore di matematica a Parigi, nel 1634 pubblicò 4 volumi di matematica e astronomia di tradizione tolemaica; nel 1637 apparve un quinto volume con spiegazioni convincenti su Keplero e con il rigetto di molti degli argomenti contrari sostenuti tre anni prima. A rendere ancora più esplicita la sua conversione stampò un sesto volume nel 1644, che Riccioli non dimostra di avere letto; ma ce n’era già abbastanza. Vicino c’è Morinus (VII), Jean Baptiste Morin, che compì un lungo percorso da quando, nel 1631, era per l’immobilità della Terra, ma poi prese a simpatizzare per Keplero e per le orbite ellittiche anche se inserite in un contesto ticonico.

Fra il Mare delle Nubi e la Palude (oggi Golfo) delle epidemie si trova il kepleriano dissidente Bullialdus (VII); l’astronomo belga Isaak Boulliau, a metà del ‘600, fu l’iniziatore di una “teoria ellittica semplice” che ebbe numerosi seguaci e che sostituiva la seconda legge di Keplero con un moto angolare uniforme centrato nel 2° fuoco, quello vuoto, dell’ellisse.

Plato (II) sta bene nella Terra della Grandine, visto che gli si attribuiva l’idea della rotazione della Terra, ma poco lontano c’è Aristoteles, verso il Lago della Morte: forse Riccioli vuole far capire che per lui la fisica di Aristotele era finita? Si può proseguire con tante considerazioni, come Galilaeus (VIII) che è quasi sui bordi, ma ancora dentro all’Oceano delle Tempeste e, punizione da bolgia dantesca, vicino al suo nemico Marius (Simon Mayr), quello che cercò di strappargli la scoperta dei satelliti di Giove.

Dalla indefinibile Terra del Calore i tre colleghi professori Cavalerius, Ricciolus e Grimaldus osservano i dispersi dell’Oceano; c’è fra loro Hevelius, forse per doveroso riconoscimento di meriti selenografici che facevano passare in seconda linea il suo credo copernicano.

Abbiamo tralasciato molti personaggi interessanti, ma l’importante è non avere dubbi sul fatto che il Riccioli dichiaratamente ha ritratto sulla faccia della Luna la situazione di diatribe e di contrapposizioni secolari fra gli astronomi e le loro scuole. La nomenclatura divide idealmente in due la Luna in base a una scelta voluta: nella metà che si mostra in fase crescente si adagiano i Mari della Serenità, della Tranquillità, della Fecondità, del Nettare ecc., sui quali si affacciano località dai nomi in prevalenza riservati a personaggi rispettosi della tradizione geostazionaria; mentre la metà che appare nella fase calante è, come abbiamo illustrato, assai turbolenta.


Il caso del cratere Bettinus

In una lettera del 3 gennaio 1646 il celebre matematico Bonaventura Cavalieri a un suo corrispondente scrive: “Mi ha riferito un P. Gesuita che in Fiandre uno [van Langren, ndA] pubblica il modo di osservare la longitudine per le macchie lunari e, denominando esse macchie dai nomi di valenti matematici, ne ha battezzata una col nome del P. Bettini, sicché potrà rallegrarsi seco che a guisa d’eroe sia stato il suo nome caratterizzato in Cielo a tutta la posterità”. Bettini aveva pubblicato nel 1641 Apiaria universae philosophiae matematicae, due inutili volumi di geometria e argomenti vari, ricordati dal Cavalieri in una precedente lettera con una non troppo sottile vena d’umorismo. Ad ogni modo, se siamo curiosi d’indagare su questo Bettini e sul perché il suo nome sia legato al nostro satellite, scopriamo una vicenda singolare.

C’è da dubitare che Van Langren avesse per primo attribuito un pezzo di Luna al Bettini; forse l’iniziativa fu dello stesso Riccioli, una sottomissione di natura politica interna ai gesuiti; e comunque sono da ricordare le aperte critiche di Riccioli al Bettini, contenute nello stesso Almagestum novum, dove una tabella mostra le strampalate distanze pensate dal Bettini per i corpi celesti rispetto alla Terra. Ma ciò che colpisce è che costui fu un ardente peripatetico e negava i monti, le valli e, appunto, i crateri lunari mostrati dal telescopio; per questo, Hevelius, nella sua Selenographia, polemizzò a lungo con lui. Per Bettini la Luna doveva essere perfettamente sferica ma composta, sotto una superficie uniforme e levigata, di parti trasparenti e di parti opache (come certe biglie di vetro con le quali abbiamo giocato da bambini), cosicché quando i raggi solari giungono radenti su di una zona, la parte opaca s’illumina a cominciare dalle vette più alte, anche se il Sole viene dapprima ad illuminare le zone anteriori trasparenti. Abbiamo qui un perfetto ragionamento aristotelico: la Luna deve essere sferica e levigata e da questa idea preconcetta si deve partire per spiegare ciò che si vede al telescopio.

Quanto al fatto che ancor oggi il Bettini abbia il proprio nome legato a uno dei crateri lunari, pur avendone negato la realtà fisica, ascriviamolo a una delle tante stranezze delle vicende umane. E non è il solo, perché dovremmo aggiungere anche Fortunio Liceti, che ha, poco lontano dal Bettinus, il suo cratere Licetus nella Terra della Fertilità, nonostante che nel suo libro sulla Luna avesse fantasticato di colori e chiaroscuri pur di negare monti e valli. Invece, il nome di un altro aristotelico, Scipione Chiaramonti, anch’esso inserito dal Riccioli, ebbe quello che si meritava per i suoi demeriti e fu in eseguito estromesso dal mondo della Luna.


Come andò a finire

Fra i due sistemi di denominazione lunare, quello di Hevelius e quello di Riccioli, ci fu una certa guerra fredda per diversi decenni. Troviamo notizia sull’inizio della contesa in una lettera con la quale Christiaan Huygens, in data 22 agosto 1661, informava Hevelius che Christopher Wren, il futuro architetto della Cattedrale di S. Paolo a Londra, per ordine del re d’Inghilterra stava costruendo un globo lunare: “(...) In esso sono riprodotti tutti i monti nel posto esatto e con la simmetria in cui stanno sul corpo lunare. E si distinguono le macchie rispetto alle altre parti, cosa che penso sia molto bella da vedere. In effetti mi sono spesso meravigliato che voi stesso non abbiate preparato una simile opera la cui idea da tempo sembra che l’abbiate concepita e proposta sul finire della vostra accuratissima Selenografia (…)”.

Dopo un mese, gli risponde Hevelius esprimendo un desiderio: “Se lo si può avere per un modico prezzo, vi prego, per favore, di procurarmene un esemplare, vi restituirò senz’altro il denaro: brucio infatti dalla voglia di vedere con quale criterio hanno riprodotto ogni cosa, se hanno imposto alle macchie i miei nomi oppure quelli del Riccioli”.

Non sappiamo come andò a finire in questo caso, ma da chiari indizi sembra di capire che all’inizio ci fu qualche promiscuità. Prendiamo a testimone il periodico scientifico Philosophical transactions di Londra con alcune notizie di eclissi di Luna. Per quella dell’11 gennaio1675 questo periodico riporta le osservazioni, relativamente ai dati di oscuramento e riapparizione dei particolari lunari, che erano state eseguite dagli astronomi dell’Osservatorio di Parigi, Cassini, Picard e Römer e il riferimento è alla nomenclatura di Riccioli, con soltanto un residuo di quella di Hevelius come, per esempio, il Mar Caspio al posto del Mare della Fecondità.

Più avanti, troviamo un resoconto di Hevelius sulla stessa eclisse, nel quale ovviamente egli usa la propria nomenclatura.

Sulla stessa rivista inglese troviamo un resoconto di J. Flamsteed dell’eclisse del 26 giugno 1675 vista da Greenwich e i riferimenti sono a Hevelius (Palude Meotide, Porfiriti, Etna, ecc.). Alla pagina successiva anche il belga I. Boulliau ne riferisce citando la Palude Meotide. Sulla stessa eclisse, vista dall’Osservatorio di Parigi, si pronunciano ancora i tre scienziati sopra citati e utilizzano Riccioli; ma poco dopo è riportata una lettera nella quale Gian Domenico Cassini, paragonando le osservazioni di Parigi e di Londra, sente la necessità di mettere in relazione le due nomenclature, per esempio, Pentadactil con Seleucus, Porphirites con Aristarcus, Sina con Tycho, Aetna con Copernicus, Besbici con Manilius, ecc.

Anche per l’eclisse del 21 dicembre 1675 Flamsteed svolge la relazione con la nomenclatura di Hevelius; e chissà per quanto si potrebbe proseguire. Tuttavia, questo ci basta per supporre che Cassini, ricordandosi dei tempi della sua lunga permanenza a Bologna, diede ufficialmente la preferenza al Riccioli; e così, alla fine, Parigi prevalse su Londra e Riccioli su Hevelius, quando fu il momento di decidere a quale consuetudine affidarsi.


L’autore ringrazia la Biblioteca dell’INAF, Osservatorio di Brera, per la cortesia riservatagli a consultare i testi di Hevelius e Riccioli e a riprodurre le mappe lunari.


Note

1 Curiosamente a Bologna, dove il Riccioli esercitò per quasi l'intera vita la sua attività anche nel campo dell'insegnamento e di opere di pubblica utilità, nella toponomastica cittadina non si trova nemmeno un vicolo a lui dedicato. 2 Mitico dio amato dalla Luna 3 Oggi altrove perchè non rilevante il posto assegnatogli da Riccioli 4 Dimenticato da Riccioli ma ripescato dai moderni e sistemato vicino al suo allievo Keplero 5 Van Langren

  • Francesco Castaldi, ingegnere chimico, socio del Gruppo Astrofili di Saronno Giovanni e Angelo Bernasconi, astrofilo dai tempi lontani dell'Università, da una ventina d'anni indaga sui risvolti del progresso in astronomia senza riguardi per i luoghi comuni, e insiste a partire dai testi originali che trova nei fondi antichi di tante biblioteche italiane e nelle ancora non molte biblioteche con libri digitalizzati che si trovano su Internet.
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