Osserviamo la Luna con il binocolo

Da Commissione Divulgazione - Unione Astrofili Italiani.

(Differenze fra le revisioni)
(Risorse lunari)
 
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E’ facile intuire come nei tempi antichi l’immagine della Luna, nel suo continuo mutare aspetto,  abbia suscitato attrazione e timore, ammirazione e paura. I nostri progenitori, che si guardavano attorno in un mondo pieno di fascino e insidie, la deificarono con significato di volta in volta positivo (Luna piena, bianca, Luna calante) e negativo (Luna nuova, nera, Luna crescente).  
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Uno dei motivi di questa attribuzione di proprietà soprannaturali, evento comune a molti altri fenomeni celesti, deve essere stato il fatto di intravedere nelle macchie che caratterizzano la sua superficie, un volto. In effetti, osservando la Luna piena ad occhio nudo, intravediamo, in alto, gli occhi, rappresentati dal Mare Imbrium a sinistra e dal Mare Serenitatis col Mare Tranquillitatis, a destra, mentre, in basso, il Mare Nubium potrebbe rappresentare la bocca, aperta in una espressione di sorpresa o in un urlo di terrore. A sinistra, l’Oceanus Procellarum definisce l’ombra della guancia.  
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L’osservazione anche al binocolo o ad un modesto telescopio arricchisce la visione di innumerevoli dettagli e questo, da Galileo in poi, ha contribuito a passare da una interpretazione fantastico-mitologica dei fenomeni e degli oggetti celesti ad una realistico-oggettiva. Un po’ come quando Antoniadi fece giustizia dei canali di Marte “visti” da Schiaparelli, usando un telescopio ben più potente in condizioni di migliore visibilità del pianeta. In effetti il nostro cervello, il più evoluto fra quelli degli esseri viventi soprattutto nella zona frontale (la zona dell’ideazione), in condizioni di scarsa definizione dell’immagine, tende ad associare, unire, fare riferimenti con quanto ha in memoria e quindi a creare interpretazioni e accostamenti originali ma irreali.
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Dall'interpretazione fantastica alla visione realistica</span> 
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E’ facile intuire come nei tempi antichi l’immagine della Luna, nel suo continuo mutare d'aspetto,  abbia suscitato attrazione e timore, ammirazione e paura.  
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I nostri progenitori, che si guardavano attorno in un mondo pieno di fascino e insidie, la deificarono con significato di volta in volta positivo (Luna piena, bianca, Luna calante) o negativo (Luna nuova, nera, Luna crescente).  
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Uno dei motivi di questa attribuzione di proprietà soprannaturali, comune a molti altri fenomeni celesti, deve essere stato il fatto di intravedere nelle macchie che caratterizzano la sua superficie, un volto. In effetti, osservando la Luna piena ad occhio nudo, intravediamo, in alto, gli occhi, rappresentati dal Mare Imbrium a sinistra e dal Mare Serenitatis col Mare Tranquillitatis, a destra, mentre, in basso, il Mare Nubium potrebbe rappresentare la bocca, aperta in un'espressione di sorpresa o in un urlo di terrore. A sinistra, l’Oceanus Procellarum definisce l’ombra della guancia.  
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L’osservazione al binocolo arricchisce la visione di innumerevoli dettagli e questo, da Galileo in poi, ha contribuito al passaggio da una interpretazione fantastico-mitologica dei fenomeni e degli oggetti celesti, ad una realistico-oggettiva. Un po’ come quando Antoniadi fece giustizia dei canali di Marte “visti” da Schiaparelli, usando un telescopio ben più potente in condizioni di migliore visibilità del pianeta. In effetti il nostro cervello, il più evoluto fra quelli degli esseri viventi soprattutto nella zona frontale (la zona dell’ideazione), in condizioni di scarsa definizione dell’immagine tende ad associare, unire, fare riferimenti con quanto ha in memoria e quindi a creare interpretazioni e accostamenti originali ma irreali.
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Trovare un invito all'osservazione della Luna in una pagina dedicata all'astronomia binoculare può forse sembrare fuori tema, dato che l'osservazione del nostro satellite comporta inevitabilmente l'uso del telescopio per distinguere su di essa i particolari più fini.
Trovare un invito all'osservazione della Luna in una pagina dedicata all'astronomia binoculare può forse sembrare fuori tema, dato che l'osservazione del nostro satellite comporta inevitabilmente l'uso del telescopio per distinguere su di essa i particolari più fini.
Proprio con un telescopio Galileo Galilei, nel 1609, iniziò le sue osservazioni della Luna, sulla cui superficie vide per primo i crateri, altrimenti invisibili al nostro occhio.
Proprio con un telescopio Galileo Galilei, nel 1609, iniziò le sue osservazioni della Luna, sulla cui superficie vide per primo i crateri, altrimenti invisibili al nostro occhio.
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Al tempo erano conosciuti solo i cosiddetti mari, quelle macchie oscure che vediamo ad occhio nudo sulla Luna e che spesso la fanno assomigliare a un volto. Scrisse Galileo nel 'Sidereus Nuncius':
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Al tempo erano conosciuti solo i cosiddetti mari, quelle macchie oscure che vediamo ad occhio nudo sulla Luna e che spesso la fanno assomigliare a un volto. Scrisse Galileo nel ''Sidereus Nuncius'':
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''... queste macchie, alquanto oscure e abbastanza ampie, sono visibili ad ognuno e sempre in ogni epoca furono scorte; e preciò le chiameremo grandi, o antiche, a differenza di altre macchie, minori per ampiezza, ma così fitte da ricoprire tutta la superficie lunare, e specialmente la parte più lucente.  Queste invero da nessuno furono osservate prima di noi ...''
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''... queste macchie, alquanto oscure e abbastanza ampie, sono visibili ad ognuno e sempre in ogni epoca furono scorte; e perciò le chiameremo grandi, o antiche, a differenza di altre macchie, minori per ampiezza, ma così fitte da ricoprire tutta la superficie lunare, e specialmente la parte più lucente.  Queste invero da nessuno furono osservate prima di noi ...''
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Galileo, esaminando la superficie della Luna, si rende infine conto che :
Galileo, esaminando la superficie della Luna, si rende infine conto che :
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''... la superficie della Luna non è affatto liscia, uniforme e di sfericità esattissima , come di essa Luna e degli altri corpi celesti una numerosa schiera di filosofi ha ritenuto, ma al contrario, disuguale, scabra, ripiena di cavità e di sporgenze, non altrimenti che la faccia stessa della Terra  ...''
''... la superficie della Luna non è affatto liscia, uniforme e di sfericità esattissima , come di essa Luna e degli altri corpi celesti una numerosa schiera di filosofi ha ritenuto, ma al contrario, disuguale, scabra, ripiena di cavità e di sporgenze, non altrimenti che la faccia stessa della Terra  ...''
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Anzitutto Galilei stesso descrive, nel ''Sidereus Nuncius'' che il suo primo telescopio aveva 3 ingrandimenti (come un attuale binocolo da teatro) mentre il modello successivo arrivò a 8 ingrandimenti (a metà strada fra i diffusissimi binocoli 7x50 e 10x50). Infine ''non risparmiando fatica né spesa alcuna'' realizzò uno strumento in grado di ingrandire 30 volte (un ingrandimento non comunissimo fra i binocoli, ma non mancano modelli 30x77, 30x80, 30x100).
Anzitutto Galilei stesso descrive, nel ''Sidereus Nuncius'' che il suo primo telescopio aveva 3 ingrandimenti (come un attuale binocolo da teatro) mentre il modello successivo arrivò a 8 ingrandimenti (a metà strada fra i diffusissimi binocoli 7x50 e 10x50). Infine ''non risparmiando fatica né spesa alcuna'' realizzò uno strumento in grado di ingrandire 30 volte (un ingrandimento non comunissimo fra i binocoli, ma non mancano modelli 30x77, 30x80, 30x100).
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Dunque la Luna descritta nel ''Sidereus'' è fruibile al binocolo quanto al telescopio.
Dunque la Luna descritta nel ''Sidereus'' è fruibile al binocolo quanto al telescopio.
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Inoltre i telescopi di Galilei non invertivano le immagini: l'orientamento era corretto nelle direzioni destra-sinistra e alto-basso, come nell'osservazione a occhio nudo e con il binocolo.
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E in questo senso ci piace pensare che la Luna binoculare sia probabilmente la "Luna Galileiana" per eccellenza.
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Inoltre i telescopi di Galilei non invertivano le immagini: l'orientamento era corretto nelle direzioni destra-sinistra e alto-basso, come nell'osservazione a occhio nudo e con il binocolo. E in questo senso ci piace pensare che la Luna binoculare sia probabilmente la "Luna Galileiana" per eccellenza.
=La luce cinerea=
=La luce cinerea=
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[[image:20120223 Luce cinerea.jpg|center|400px]]
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<div style="text-align: center;"> A sinistra: Luce cinerea, immagine ripresa il 23 febbraio 2012, si ringrazia la [http://www.astropiombino.org '''Associazione Astrofili di Piombino''']; a destra l'interpretazione della luce cinerea da parte di Leonardo da Vinci</div>
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Guardando la Luna poco dopo il Novilunio, ancora immersa nelle luci del crepuscolo, è facile notare, accanto al crescente luminoso, la restante parte della Luna debolmente illuminata di una luce di tonalità più spesso grigio-azzurre, talvolta verdastre, tal’altra rossastre.
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E’ la cosiddetta “Luce cinerea”, del colore della cenere, conosciuta da tempo e che ha trovato diversi appellativi nelle varie culture - per gli Inglesi è “the Old Moon in the New Moon’s arms” (la vecchia Luna tra le braccia della Luna Nuova). Naturalmente, può essere vista anche all’alba, nei giorni tra l’ultimo quarto e la Luna Nuova. Il fenomeno, che oggi sappiamo essere dovuto alla riflessione da parte della Luna della luce solare proveniente dalla Terra, fu variamente interpretato dagli antichi, fino al Rinascimento.
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La Luna, dicevano, brilla di luce propria, anche se molto meno del Sole; oppure: la Luna è semitrasparente, traslucida, e lascia passare parte della luce solare che le viene da dietro; oppure: è fosforescente, oppure ancora (Tycho Brahe): riflette la luce delle stelle e di Venere. Leonardo da Vinci nel Codice Leicester (poi Hammer, ora Collezione Bill Gates), e Regiomontano (1436-1476) danno un’interpretazione intuitiva della luce cinerea, ma è Galileo che nel Sidereus Nuncius prima (1610), e nel Dialogo sopra i Massimi Sistemi poi (1632), ne fornisce una interpretazione precisa.
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Afferma infatti Sagredo, dopo aver udito da Salviati la spiegazione del fenomeno, nel Dialogo:
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''... lasciatemi il gusto di mostrarvi come a questo primo cenno ho penetrato la causa di un accidente al quale mille volte ho pensato, né mai l'ho potuto penetrare. Voi volete dire che certa luce abbagliata che si vede nella Luna, massimamente quando l'è falcata, viene dal reflesso del lume del Sole nella superficie della Terra e del mare: e piú si vede tal lume chiaro, quanto la falce è piú sottile, perché allora maggiore è la parte luminosa della Terra che dalla Luna è veduta, conforme a quello che poco fa si concluse, cioè che sempre tanta è la parte luminosa della Terra che si mostra alla Luna, quanta l'oscura della Luna che guarda verso la Terra; onde quando la Luna è sottilmente falcata, ed in conseguenza grande è la sua parte tenebrosa, grande è la parte illuminata della Terra, veduta dalla Luna, e tanto piú potente la reflession del lume.''
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Circa la luce solare riflessa dalla Terra, occorre pensare che, mentre la Luna dal Novilunio procede verso il Primo Quarto, riceve dalla Terra una grande quantità di radiazione luminosa: infatti, per un osservatore che si trovasse sulla Luna in quella situazione astronomica, la Terra offrirebbe gran parte della sua superficie illuminata, procedendo da “Piena a “Ultimo Quarto”. Sempre considerando un ipotetico “lunatico” che osservasse la Terra, oltre a vederla sempre immobile nel cielo lunare, a diverse altezze a seconda della latitudine (in realtà, per il fenomeno della librazione la Terra descrive nel cielo lunare una piccola ellissi), la vedrebbe descrivere le fasi in ragione inversa a come noi terrestri vediamo le fasi lunari; in sostanza, quando da noi c’è Luna Nuova, dalla Luna si vedrebbe la Terra Piena, il Primo Quarto lunare da Terra corrisponderebbe all’Ultimo Quarto terrestre dalla Luna, e così via.
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<div style="text-align: center;"> Luce cinerea: immagine ripresa il 23 febbraio 2012, si ringrazia la [http://www.astropiombino.org/index.php?title=Luna_Venere_Giove_23-02-2012 '''Associazione Astrofili di Piombino'''] </div>
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La luce cinerea, in pratica, non è altro che il “chiaro di Terra” sulla Luna, l’esatto contrario del chiaro di Luna sulla Terra.
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L’entità del fenomeno, però è ben diversa: la superficie della Terra visibile dalla Luna, infatti, oltre ad essere circa 13 volte più grande della Luna stessa, ha un maggiore potere riflettente (albedo): circa il 37% contro il 7% della Luna. Ciò è dovuto prevalentemente alla presenza delle nubi (50%), meno delle terre emerse (10-25%), meno ancora dell’acqua degli oceani (10%). Possiamo capire bene ciò osservando le foto della Terra scattate dallo spazio: nubi e Poli appaiono di colore bianco abbagliante, i continenti color ocra e gli oceani di colore blu scuro. Infine, volendo estrapolare un ulteriore concetto, essendo  la luce cinerea espressione della riflessione della luce solare da parte della superficie terrestre, rappresenta pure l’inverso dell’effetto-serra, essendo quest’ultimo l’espressione di quanto della radiazione solare viene invece trattenuto sulla Terra.
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Nelle prime fasi della Luna crescente, o nelle ultime della Luna calante, all’interno della parte  in penombra, è facile distinguere diversi particolari della sua superficie. I Mari si intravedono già a occhio nudo, e un binocolo rivela un numero maggiore di dettagli: strutture particolarmente riflettenti come Aristarchus e le raggiere di Tycho e Kepler sono facilmente osservabili come macchie più chiare.  
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Mancando le ombre, l’effetto è simile a quanto si osserva in condizioni di Luna Piena, ma come se al nostro strumento fosse stato applicato un filtro molto scuro.
=La Luna al primo quarto=
=La Luna al primo quarto=
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Il detto “La Luna scava la zolla”*, traduzione di una espressione comune nelle vecchie comunità contadine di Romagna, descrive la similitudine della Luna in primo quarto con il vomere dell’aratro disposto in senso verticale per scavare più a fondo il terreno. La cultura contadina vedeva anche, nella parte destra della Luna che lentamente, sera dopo sera si apriva all’osservazione da Terra con la comparsa di macchie scure su un fondo bianco e brillante, l’immagine di Caino, il fratricida che, maledetto da Dio, si è rifugiato sulla Luna per sfuggire alla sua ira. In effetti, la sequenza del Mare Serenitatis in alto (il capo), del Mare Tranquilitatis al centro (il corpo) e dei mari paralleli, Fecunditatis e Nectris (le gambe), può vagamente rendere l’idea di un uomo che corre con un fascio di legna, o una gerla (il Mare Crisium), sulle spalle. In diversi disegni, Galileo ha rappresentato la Luna nelle sue diverse fasi e proprio dalle osservazioni al telescopio, a piccolo ingrandimento, simile a quello di un modesto binocolo odierno, trasse la convinzione che la Luna non dovesse avere una superficie liscia, come recitava la dottrina aristotelica, bensì aspra e rugosa. La visione della proiezione delle ombre delle montagne sulla superficie della Luna, variabile in lunghezza a seconda della fase, quindi dell’altezza del Sole sull’orizzonte, lo indusse a pensare che la superficie stessa fosse scabra e scavata, con, crateri e catene montuose, similmente, o in misura maggiore, a quanto avviene sulla Terra. E’ strabiliante poi leggere i tratti del Sidereus Nuncius in cui Galileo, sotto forma di dialogo tra sostenitore e oppositore delle moderne teorie, va a confermare, con deduzioni logiche, avvalendosi di principi matematici in parte già noti all’epoca, in parte intuitivi e anticipatori di teoremi che verranno formalizzati nei secoli successivi, quanto l’osservazione diretta gli aveva mostrato. Da ottimo disegnatore qual’era, ha rappresentato il quarto lunare in modo assai realistico, con i contrafforti del Mare Tranquillitatis, in alto, che si protendono verso la metà oscura e l’irregolarità del bordo del terminatore con successioni di ombre e zone illuminate, senza trascurare la realistica rappresentazione di vette illuminate poco oltre il terminatore stesso, nella parte buia. Appare, in questi disegni, un grande cratere, poco sotto la zona centrale, che nella realtà non esiste. Il fatto è di difficile interpretazione (Albategnius, il Mare Nubium?).
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Il detto “La Luna scava la zolla”*, traduzione di una espressione comune nelle vecchie comunità contadine di Romagna, descrive la similitudine della Luna in primo quarto con il vomere dell’aratro disposto in senso verticale, per scavare più a fondo il terreno.  
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Il nostro binocolo ci fa già vedere, pur a piccoli ingrandimenti, dettagli assai interessanti: partendo da Nord, osserviamo la striscia scura, disposta orizzontalmente, del Mare Frigoris, che proseguirà anche nella zona occidentale, al di sopra delle Alpi e del Sinus Iridum, poi, scendendo verso Sud, la sequenza dei grandi mari, descritti prima. Naturalmente, compaiono più dettagli. Così, sarà possibile notare i due grandi crateri, in alto, subito sopra il Mare Serenitatis, Aristoteles ed Eudoxus, e Posidonius, sul bordo orientale, quindi alla nostra destra, dello stesso Mare. Ad oriente, la gerla di Caino, il Mare Crisium, che vediamo ovale per la proiezione prospettica sferica, ma che possiamo apprezzare in maniera più prossima alla realtà, circolare come tutti i mari, nei momenti in cui il fenomeno della librazione ce lo “allontana” dal bordo. Sul suo versante settentrionale, possiamo apprezzare il cratere Cleomedes, sul versante occidentale, il piccolo ma brillante Proclus che, in condizioni di Luna piena, si pavoneggia con una brillante raggiera. Scendendo dal Mare Serenitatis verso il basso, entriamo nel Mare Tranquillitatis, attraverso uno “stretto”, delimitato a oriente dal Mons Argaeus e a occidente dal Promontorium Acherusia. Al centro dello stretto sta Plinius. Entrando nel Mare Tranquillitatis, notiamo una notevole irregolarità dei bordi, in particolare di quello occidentale, fortemente segnato da profonde striature, provocate dagli esiti dello spaventoso evento che segnò la nascita dell’Imbrium. Sul bordo meridionale del Tranquillitatis, si aprono due grandi spazi scuri, a oriente il Mare Fecunditatis e a occidente il Sinus Asperitatis che porta, più in basso, al Mare Nectaris. Sul bordo orientale di quest’ultimo tre crateri in successione, Theophilus, Cyrillus e Catharina, di dimensioni simili, ma di origine molto diversa. Più recente il primo, più antico l’ultimo e intermedio quello al centro. Lo si rileva dal livello di degradazione dei crateri stessi: più conservato il cratere recente, più degradato e craterizzato quello più antico. Sul versante meridionale del Nectaris sta Fracastorius, con la sua parte settentrionale sommersa dalla lava del Mare. Al centro del terminatore, osserviamo, a nord, Hipparchus, molto degradato e, sotto di lui, più profondo e ben delimitato, Albategnius. Scendendo lungo il bordo orientale della Luna, oltre l’equatore, incontriamo tre grandi crateri, Langrenus, Vendelinus e Petavius. Difficile scorgere dettagli all’interno di essi. Un binocolo di ottima fattura e dotato di ingrandimenti maggiori fa scorgere, all’interno di Petavius, la grande spaccatura, che dal picco centrale arriva al bordo occidentale. Al di sotto dei grandi mari, si estende una vastissima area chiara, fittamente craterizzata. All’interno di essa, con l’aiuto di una cartina lunare, possiamo dilettarci a riconoscere alcuni di questi crateri, Sacrobosco, Piccolomini, il grande Janssen, a sua volta interessato da crateri sovrapposti.
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La cultura contadina vedeva anche, nella parte destra della Luna che lentamente, sera dopo sera si apriva all’osservazione da Terra con la comparsa di macchie scure su un fondo bianco e brillante, l’immagine di Caino, il fratricida che, maledetto da Dio, si è rifugiato sulla Luna per sfuggire alla sua ira. In effetti, la sequenza del Mare Serenitatis in alto (il capo), del Mare Tranquilitatis al centro (il corpo) e dei mari paralleli, Fecunditatis e Nectaris (le gambe), può vagamente rendere l’idea di un uomo che corre con un fascio di legna, o una gerla (il Mare Crisium), sulle spalle.
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A seconda della potenza e della capacità risolutiva del binocolo, sarà possibile cogliere dettagli più o meno rilevanti, ma già la semplice osservazione d’insieme, al binocolo, con la resa tridimensionale data dallo strumento, provoca una sensazione di profondità di spazio nella quale è bello lasciarsi trasportare…e il naufragar m’è dolce in questo mare…  
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In diversi disegni, Galileo ha rappresentato la Luna nelle sue diverse fasi e proprio dalle osservazioni al telescopio, a piccolo ingrandimento, simile a quello di un modesto binocolo odierno, trasse la convinzione che la Luna non dovesse avere una superficie liscia, come recitava la dottrina aristotelica, bensì aspra e rugosa. La visione della proiezione delle ombre delle montagne sulla superficie della Luna, variabile in lunghezza a seconda della fase, quindi dell’altezza del Sole sull’orizzonte, lo indusse a pensare che la superficie stessa fosse scabra e scavata, con crateri e catene montuose, similmente, o in misura maggiore, a quanto avviene sulla Terra. E’ strabiliante poi leggere i tratti del ''Dialogo'' in cui Galileo, sotto forma di dialogo tra sostenitore e oppositore delle moderne teorie, va a confermare, con deduzioni logiche, avvalendosi di principi matematici (in parte già noti all’epoca, in parte intuiti e anticipatori di teoremi che verranno formalizzati nei secoli successivi), quanto l’osservazione diretta gli aveva mostrato. Da ottimo disegnatore qual era, ha rappresentato il quarto lunare in modo assai realistico, con i contrafforti di un  mare (dal disegno parrebbe il Mare Serenitatis, ma dovrebbe ragionevolmente trattarsi del mare Imbrium) in alto, che si protendono verso la metà oscura e l’irregolarità del bordo del terminatore con successioni di ombre e zone illuminate, senza trascurare la realistica rappresentazione di vette illuminate poco oltre il terminatore stesso, nella parte buia.
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Appare, in questi disegni, un grande cratere, poco sotto la zona centrale, che nella realtà non esiste. Il fatto è di difficile interpretazione (Albategnius o il Mare Nubium?).
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| [[image:Luna Primo Quarto Bruno Cantarella.JPG|400px]]
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<div style="text-align: center;"> A sinistra: la Luna al primo quarto secondo uno dei disegni di Galileo Galilei pubblicati nel Sidereus Nuncius (1610); a destra Luna al primo quarto ripresa da Bruno Cantarella della  [http://luna.uai.it/index.php/Pagina_principale '''Sezione di Ricerca Luna'''] dell'[http://www.uai.it/web/guest/home '''Unione Astrofili Italiani''']</div>
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La visione binoculare del nostro satellite è sempre uno spettacolo emozionante: essa produce un senso di profondità, in qualche modo “stacca” il corpo celeste dal profondo cielo, cosa che non accade nella visione “mono-oculare” del telescopio. Ovviamente, la quantità di dettagli visibili sarà in funzione degli ingrandimenti prodotti dal binocolo: un comune 7x50, fondamentale per l’iniziale approccio al profondo cielo, fornirà un contributo modesto all’ analisi della superficie del satellite. Sarà tuttavia un utile banco di prova per saggiare, per chi si accosta per la prima volta all’ astronomia, il possibile inizio di una passione che lo porterà ad approfondire sempre di più, con strumenti di maggiore potenza, la conoscenza del cielo  e degli astri che vi abitano. 
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La descrizione che segue è forzatamente generica. I dettagli dei crateri sono ovviamente meglio visibili in un binocolo di almeno 15 ingrandimenti. Un 7x50 mostra agevolmente i mari e la fitta craterizzazione dell’emisfero sud.
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Partendo da Nord, osserviamo la striscia scura, disposta parallelamente al terminatore, del Mare Frigoris, che proseguirà anche nella zona occidentale, al di sopra delle Alpi e del Sinus Iridum, poi, scendendo verso Sud, la sequenza dei grandi mari, descritti prima. Così, sarà possibile notare i due grandi crateri, in alto, subito sopra il Mare Serenitatis, Aristoteles ed Eudoxus, e Posidonius, sul bordo orientale, quindi alla nostra destra, dello stesso Mare.  
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Ad oriente, la gerla di Caino, il Mare Crisium, che vediamo ovale per la proiezione prospettica sferica, ma che possiamo apprezzare in maniera più prossima alla realtà, circolare come tutti i mari, nei momenti in cui il fenomeno della librazione ce lo “allontana” dal bordo. Sul suo versante settentrionale, possiamo apprezzare il cratere Cleomedes, sul versante occidentale, il piccolo ma brillante Proclus che, in condizioni di Luna piena, si pavoneggia con una brillante raggiera. Scendendo dal Mare Serenitatis verso il basso, entriamo nel Mare Tranquillitatis, attraverso uno “stretto”, delimitato a oriente dal Mons Argaeus e a occidente dal Promontorium Acherusia. Al centro dello stretto sta Plinius. Entrando nel Mare Tranquillitatis, notiamo una notevole irregolarità dei bordi, in particolare di quello occidentale, fortemente segnato da profonde striature, provocate dagli esiti dello spaventoso evento che segnò la nascita dell’Imbrium.  
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Sul bordo meridionale del Tranquillitatis, si aprono due grandi spazi scuri, a oriente il Mare Fecunditatis e a occidente il Sinus Asperitatis che porta, più in basso, al Mare Nectaris.  
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Sul bordo orientale di quest’ultimo tre crateri in successione, Theophilus, Cyrillus e Catharina, di dimensioni simili, ma di origine molto diversa. Più recente il primo, più antico l’ultimo e intermedio quello al centro. Lo si rileva dal livello di degradazione dei crateri stessi: più conservato il cratere recente, più degradato e craterizzato quello più antico. Sul versante meridionale del Nectaris sta Fracastorius, con la sua parte settentrionale sommersa dalla lava del Mare. Al centro del terminatore, osserviamo, a nord, Hipparchus, molto degradato e, sotto di lui, più profondo e ben delimitato, Albategnius. Scendendo lungo il bordo orientale della Luna, oltre l’equatore, incontriamo tre grandi crateri, Langrenus, Vendelinus e Petavius. Difficile scorgere dettagli all’interno di essi. Un binocolo di ottima fattura e dotato di ingrandimenti maggiori fa scorgere, all’interno di Petavius, la grande spaccatura, che dal picco centrale arriva al bordo occidentale. Al di sotto dei grandi mari, si estende una vastissima area chiara, fittamente craterizzata. All’interno di essa, con l’aiuto di una cartina lunare, possiamo dilettarci a riconoscere alcuni di questi crateri, Sacrobosco, Piccolomini, il grande Janssen, a sua volta interessato da crateri sovrapposti.
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A seconda della potenza e della capacità risolutiva del binocolo, sarà possibile cogliere dettagli più o meno rilevanti, ma già la semplice osservazione d’insieme, con la resa tridimensionale data dallo strumento, provoca una sensazione di profondità di spazio nella quale è bello lasciarsi trasportare ... e il naufragar m’è dolce in questo mare ...  
*la Lòna la cheva e cùdal.
*la Lòna la cheva e cùdal.
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=Il Mare Crisium e la librazione=
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=Il Mare Crisium e le librazioni=
[[image:Mare Crisium Librazione Cantarella small.jpg|center|600px]]
[[image:Mare Crisium Librazione Cantarella small.jpg|center|600px]]
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<div style="text-align: center;"> Luna ripresa il 18 marzo 2008 e il 27 dicembre 2009 in fase di Primo Quarto avanzato: risulta evidente la diversa posizione del Mare Crisium rispetto al bordo lunare (immagini riprese da Bruno Cantarella della  [http://luna.uai.it/index.php/Pagina_principale '''Sezione di Ricerca Luna'''] dell'[http://www.uai.it/web/guest/home '''Unione Astrofili Italiani''']</div>
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<div style="text-align: center;"> Luna ripresa il 18 marzo 2008 e il 27 dicembre 2009 in fase di Primo Quarto avanzato: risulta evidente la diversa posizione del Mare Crisium rispetto al bordo lunare (immagini riprese da Bruno Cantarella della  [http://luna.uai.it/index.php/Pagina_principale '''Sezione di Ricerca Luna'''] dell'[http://www.uai.it/web/guest/home '''Unione Astrofili Italiani''')]</div>
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Le librazioni sono “piccole oscillazioni apparenti della Luna che consentono di osservare circa 6/10 della superficie lunare e non soltanto l’emisfero sempre rivolto alla Terra”.*
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Queste oscillazioni erano già note a Galileo, che nel Dialogo, attraverso le parole di Salviati, afferma che
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<center>''... noi veggiamo qualche cosa di piú della metà della Luna ...''</center>
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Galileo ci spiega poi che l’osservatore vede, dal suo osservatorio sulla superficie terrestre, un lembo di superficie lunare che non vedrebbe dal centro della Terra, e che inoltre, a causa dell’inclinazione dell’orbita lunare rispetto al piano dell’Eclittica, capita talvolta di osservare la Luna leggermente dall’alto o dal basso. Galileo non menziona la librazione in longitudine che, assieme alle altre due, contribuisce a farci osservare il 59% anzichè il 50% della superficie della Luna.
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Per verificare questa oscillazione, e stimarne l'entità, è necessario controllare, a distanza di tempo, la distanza dal bordo esterno della Luna di una caratteristica lunare ben identificabile e situata non troppo lontano dal bordo stesso.
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Galileo fa notare che
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<center>''...sono nella Luna due macchie particolari, una delle quali, quando la Luna è nel meridiano, guarda verso maestro, e [...] è visibile anco senza il telescopio...''</center>
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e prosegue
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<center>''... è la maestrale una macchietta ovata, divisa dall'altre grandissime ...''</center>
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Questa macchia “ovata”, visibile anche senza il telescopio e posta a maestrale (NW) quando la Luna è al meridiano, è il Mare Crisium, attraverso la cui osservazione
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<center>''...si osservano molto manifestamente le variazioni già dette.''</center>
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Il fenomeno delle librazioni ha offerto allo sguardo dell'uomo una parte della superficie della Luna che sarebbe rimasta per sempre celata ai nostri occhi.
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Una considerazione che oggi può far sorridere, considerando che le varie missioni spaziali hanno ripreso tutta la superficie della Luna con un elevatissimo livello di dettaglio.
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Eppure negli anni '80 era ancora attivo presso l'[http://www.alpo-astronomy.org '''ALPO'''] (Association of Lunar and Planetary Observers) un programma osservativo internazionale denominato Luna Incognita: le missioni spaziali Lunar Orbiter, Apollo e Zond, fra la fine degli anni '60 e la fine degli anni '70, avevano fotografato la Luna in lungo e in largo, ma avevano trascurato una lingua di terra di 270.000 km2 (equivalente alla superficie dell'Inghilterra), corrispondente all'incirca alla zona di librazione del Polo Sud della Luna. Occorreva l'impegno di tutti gli osservatori lunari (soprattutto i dilettanti, dato che gli astronomi professionisti si rivolgevano ad altri campi di indagine) per esplorare questa nazione sconosciuta ...  
[[Librazioni_lunari|'''Una breve spiegazione del fenomeno delle librazioni e perchè sono interessanti per chi osserva la Luna''']]
[[Librazioni_lunari|'''Una breve spiegazione del fenomeno delle librazioni e perchè sono interessanti per chi osserva la Luna''']]
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*John Gribbin, ''Enciclopedia di Astronomia e Cosmologia'', Garzanti, 1998
=La Luna piena=
=La Luna piena=
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Le zone scure (Mari) appaiono grossomodo circolari, contornate da zone chiare, bianche, in alcuni punti abbaglianti, già chiaramente interpretabili come catene montuose, altipiani, intervallati da valli e pianure più piccole. Partendo da Est (l’Est lunare è il bordo della Luna che noi vediamo a destra, in quanto per un osservatore posto sulla Luna, il sole nasce da quella parte), facciamo inizialmente riferimento al Mare Crisium, l’evidente pallino scuro sul bordo orientale del satellite. Accanto a lui sta una serie di Mari, dall’alto in basso (Mare della Serenità, della Tranquillità, poi i due paralleli, Mare della Fecondità e Mare del Nettare). Sul bordo occidentale del Mare Crisium, prospiciente il Mare Tranquillitatis si scorge un puntino molto luminoso: è il cretere Proclus, caratterizzato da due “baffi” luminosi che si proiettano in direzioni opposte. Più sotto, verso il Polo Sud, si estendono zone interessate da una estrema e fitta craterizzazione, che un telescopio appena più potente discrimina in una infinità di crateri e catene montuose.
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Ora, passando all’osservazione binoculare (partiamo con l’osservazione più semplice, quella fatta con un comune 7 x 50, che tutti hanno in casa), appaiono già diversi dettagli. Le zone scure (Mari) appaiono grossomodo circolari, contornate da zone chiare, bianche, in alcuni punti abbaglianti, già chiaramente interpretabili come catene montuose, altipiani, intervallati da valli e pianure più piccole. Partendo da Est (l’Est lunare è il bordo della Luna che noi vediamo a destra, in quanto per un osservatore posto sulla Luna, il sole nasce da quella parte), facciamo inizialmente riferimento al Mare Crisium, l’evidente pallino scuro sul bordo orientale del satellite. Accanto a lui sta una serie di Mari, dall’alto in basso (Mare della Serenità, della Tranquillità, poi i due paralleli, Mare della Fecondità e Mare del Nettare). Sul bordo occidentale del Mare Crisium, prospiciente il Mare Tranquillitatis si scorge un puntino molto luminoso: è il cretere Proclus, caratterizzato da due “baffi” luminosi che si proiettano in direzioni opposte. Più sotto, verso il Polo Sud, si estendono zone interessate da una estrema e fitta craterizzazione, che un telescopio appena più potente discrimina in una infinità di crateri e catene montuose.  
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La zona centrale della Luna è una continua alternanza di zone chiare e scure, all’interno delle quali si indovina il gruppo di crateri forse più interessante dell’intera mappa lunare, la triade Ptolemaeus, Alphonsus e Arzachel, e i vicini Hipparcus e Albategnius. Verso Occidente, quindi verso la nostra sinistra, vediamo il grande Oceanus Procellarum, all’interno del quale si può scorgere Copernicus con la sua ampia raggiera irregolare e, più a sinistra e più piccolo, Kepler. Un breve appunto: la nomenclatura lunare si deve in gran parte ad un gesuita bolognese del ‘600, Riccioli, il quale, ancora impregnato di cultura aristotelica e sordo alle nuove teorie eliocentriche, inserì i nuovi “eretici” Copernico, Keplero e anche Galileo, che occupa un insignificante cratere sul lato occidentale del satellite, nella zona di sinistra della Luna, dove collocò il Mare delle Piogge, il Mare delle Nubi, l’Oceano delle Tempeste, il Mare del Freddo e via dicendo, mentre riservò i posti migliori, nella parte destra della Luna (Mare della Tranquillità, della Serenità, della Fecondità, del Nettare, ecc.), agli astronomi e filosofi di più sicura fede aristotelico-tolemaica.  
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A Sud dell’Oceanus Procellarum, si trova il Mare Humorum, pressoché opposto e quasi delle stesse dimensioni del Mare Crisium, bellissimo all’osservazione, col suo corrugato Gassendi, mentre a Nord dello stesso si estende il grande cerchio del Mare Imbrium (Mare delle Piogge). E’ un cerchio contornato, a Nord e a Est, dalle Alpi e dal Caucaso, a Sud-Est dagli Appennini che terminano con Eratosthenes, che appare appeso alla catena montuosa come il pendaglio di una collana, e a Sud con i Carpazi, appena a Nord di Copernicus. I nomi della catene ripetono quelli di catene terrestri, ma, naturalmente, non hanno nulla in comune con esse. Il bordo occidentale del Mare è meno definito ma al di là di esso, verso Occidente , si possono vedere due crateri, uno luminosissimo, Aristarchus, ed uno più scuro, Herodotus. Il bordo riprende più su, con il grande golfo del Sinus Iridum, che appare come un “morso” nella zona montuosa circostante. E’l’effetto dell’impatto di un corpo di vaste dimensioni, caduto proprio sul bordo Nord-Occidentale del Mare Imbrium. Nella cavità prodotta dall’urto è poi fluita la lava proveniente dal vicino Mare a creare una delle più suggestive formazioni lunari. Osservare, anche in un  piccolo telescopio il sorgere del Sole sul golfo, con  le cime delle creste prospicienti il Mare che lentamente si accendono di luce è uno spettacolo meraviglioso! Proseguendo sul bordo, verso Nord-est, all’ inizio della catena alpina, si trova il “buco” di Plato.
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La zona centrale della Luna è una continua alternanza di zone chiare e scure, all’interno delle quali si indovina il gruppo di crateri forse più interessante dell’intera mappa lunare, la triade Ptolemaeus, Alphonsus e Arzachel, e i vicini Hipparcus e Albategnius. Verso Occidente, quindi verso la nostra sinistra, vediamo il grande Oceanus Procellarum, all’interno del quale si può scorgere Copernicus con la sua ampia raggiera irregolare e, più a sinistra e più piccolo, Kepler. Un breve appunto: la nomenclatura lunare si deve in gran parte ad un gesuita bolognese del ‘600, Riccioli, il quale, ancora impregnato di cultura aristotelica e sordo alle nuove teorie eliocentriche, inserì i nuovi “eretici” Copernico, Keplero e anche Galileo, che occupa un insignificante cratere sul lato occidentale del satellite, nella zona di sinistra della Luna, dove collocò il Mare delle Piogge, il Mare delle Nubi, l’Oceano delle Tempeste, il Mare del Freddo e via dicendo, mentre riservò i posti migliori, nella parte destra della Luna (Mare della Tranquillità, della Serenità, della Fecondità, del Nettare, ecc.), agli astronomi e filosofi di più sicura fede aristotelico-tolemaica. A Sud dell’Oceanus Procellarum, si trova il Mare Humorum, pressoché opposto e quasi delle stesse dimensioni del Mare Crisium, bellissimo all’osservazione telescopica, col suo corrugato Gassendi, mentre a Nord dello stesso si estende il grande cerchio del Mare Imbrium (Mare delle Piogge). E’ un cerchio contornato, a Nord e a Est, dalle Alpi e dal Caucaso, a Sud-Est dagli Appennini che terminano con Eratosthenes, che appare appeso alla catena montuosa come il pendaglio di una collana, e a Sud con i Carpazi, appena a Nord di Copernicus. I nomi della catene ripetono quelli di catene terrestri, ma, naturalmente, non hanno nulla in comune con esse. Il bordo occidentale del Mare è meno definito ma al di là di esso, verso Occidente , si possono vedere due crateri, uno luminosissimo, Aristarchus, ed uno più scuro, Herodotus. Il bordo riprende più su, con il grande golfo del Sinus Iridum, che appare come un “morso” nella zona montuosa circostante. E’l’effetto dell’impatto di un corpo di vaste dimensioni, caduto proprio sul bordo Nord-Occidentale del Mare Imbrium. Nella cavità prodotta dall’urto è poi fluita la lava proveniente dal vicino Mare a creare una delle più suggestive formazioni lunari. Osservare, anche in un  piccolo telescopio il sorgere del Sole sul golfo, con  le cime delle creste prospicienti il Mare che lentamente si accendono di luce è uno spettacolo meraviglioso! Proseguendo sul bordo, verso Nord-est, all’ inizio della catena alpina, si trova il “buco” di Plato.
 
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Un binocolo può stimolare la curiosità di vedere di più e meglio, con strumenti via via più potenti, e magari instillare all’osservatore quel germe estremamente virulento e impossibile da estirpare che è la passione per l’astronomia.
 
=La Raggiera di Tycho=
=La Raggiera di Tycho=
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Una delle formazioni lunari più interessanti e già ben visibile anche a piccolo ingrandimento, particolarmente in fase di Luna piena, è il grande cratere Tycho.  
Una delle formazioni lunari più interessanti e già ben visibile anche a piccolo ingrandimento, particolarmente in fase di Luna piena, è il grande cratere Tycho.  
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Dedicato a Tycho Brahe, che si dice riuscisse a vederlo a occhio nudo, è un oggetto luminosissimo caratterizzato da una amplissima raggiera altrettanto luminosa. I suoi raggi, espressione dell’impatto di un corpo celeste su una superficie lunare ancora plasmabile, arrivano fino al bordo opposto (se ne può vedere uno attraversare il Mare Serenitatis), a oltre 3.500 Km!  
Dedicato a Tycho Brahe, che si dice riuscisse a vederlo a occhio nudo, è un oggetto luminosissimo caratterizzato da una amplissima raggiera altrettanto luminosa. I suoi raggi, espressione dell’impatto di un corpo celeste su una superficie lunare ancora plasmabile, arrivano fino al bordo opposto (se ne può vedere uno attraversare il Mare Serenitatis), a oltre 3.500 Km!  
Si irradiano prevalentemente verso Nord e verso Est (a destra), segno che l’oggetto deve essere giunto da Ovest con una angolazione inferiore ai 45°. Un impatto perpendicolare rispetto alla superficie avrebbe generato raggi in tutte le direzioni .
Si irradiano prevalentemente verso Nord e verso Est (a destra), segno che l’oggetto deve essere giunto da Ovest con una angolazione inferiore ai 45°. Un impatto perpendicolare rispetto alla superficie avrebbe generato raggi in tutte le direzioni .
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Mentre lo osserviamo al binocolo, proviamo a immaginare l'impatto di un oggetto di una decina di km di diametro che si infrangeva sulla Luna e gettava detriti che arrivavano fino a metà del globo lunare!
Mentre lo osserviamo al binocolo, proviamo a immaginare l'impatto di un oggetto di una decina di km di diametro che si infrangeva sulla Luna e gettava detriti che arrivavano fino a metà del globo lunare!
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=Risorse lunari=
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Alfonso Zaccaria
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[[Osserviamo_il_cielo_con_il_binocolo|'''Torna alla pagina principale delle Osservazioni al Binocolo''']]
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Versione corrente delle 17:48, 30 ago 2015

Dall'interpretazione fantastica alla visione realistica

E’ facile intuire come nei tempi antichi l’immagine della Luna, nel suo continuo mutare d'aspetto, abbia suscitato attrazione e timore, ammirazione e paura.

I nostri progenitori, che si guardavano attorno in un mondo pieno di fascino e insidie, la deificarono con significato di volta in volta positivo (Luna piena, bianca, Luna calante) o negativo (Luna nuova, nera, Luna crescente).

Uno dei motivi di questa attribuzione di proprietà soprannaturali, comune a molti altri fenomeni celesti, deve essere stato il fatto di intravedere nelle macchie che caratterizzano la sua superficie, un volto. In effetti, osservando la Luna piena ad occhio nudo, intravediamo, in alto, gli occhi, rappresentati dal Mare Imbrium a sinistra e dal Mare Serenitatis col Mare Tranquillitatis, a destra, mentre, in basso, il Mare Nubium potrebbe rappresentare la bocca, aperta in un'espressione di sorpresa o in un urlo di terrore. A sinistra, l’Oceanus Procellarum definisce l’ombra della guancia.

L’osservazione al binocolo arricchisce la visione di innumerevoli dettagli e questo, da Galileo in poi, ha contribuito al passaggio da una interpretazione fantastico-mitologica dei fenomeni e degli oggetti celesti, ad una realistico-oggettiva. Un po’ come quando Antoniadi fece giustizia dei canali di Marte “visti” da Schiaparelli, usando un telescopio ben più potente in condizioni di migliore visibilità del pianeta. In effetti il nostro cervello, il più evoluto fra quelli degli esseri viventi soprattutto nella zona frontale (la zona dell’ideazione), in condizioni di scarsa definizione dell’immagine tende ad associare, unire, fare riferimenti con quanto ha in memoria e quindi a creare interpretazioni e accostamenti originali ma irreali.


Indice

L'ingrandimento galileiano


Trovare un invito all'osservazione della Luna in una pagina dedicata all'astronomia binoculare può forse sembrare fuori tema, dato che l'osservazione del nostro satellite comporta inevitabilmente l'uso del telescopio per distinguere su di essa i particolari più fini. Proprio con un telescopio Galileo Galilei, nel 1609, iniziò le sue osservazioni della Luna, sulla cui superficie vide per primo i crateri, altrimenti invisibili al nostro occhio. Al tempo erano conosciuti solo i cosiddetti mari, quelle macchie oscure che vediamo ad occhio nudo sulla Luna e che spesso la fanno assomigliare a un volto. Scrisse Galileo nel Sidereus Nuncius:

... queste macchie, alquanto oscure e abbastanza ampie, sono visibili ad ognuno e sempre in ogni epoca furono scorte; e perciò le chiameremo grandi, o antiche, a differenza di altre macchie, minori per ampiezza, ma così fitte da ricoprire tutta la superficie lunare, e specialmente la parte più lucente. Queste invero da nessuno furono osservate prima di noi ...

Galileo, esaminando la superficie della Luna, si rende infine conto che :

... la superficie della Luna non è affatto liscia, uniforme e di sfericità esattissima , come di essa Luna e degli altri corpi celesti una numerosa schiera di filosofi ha ritenuto, ma al contrario, disuguale, scabra, ripiena di cavità e di sporgenze, non altrimenti che la faccia stessa della Terra ...

Quale può essere dunque il senso di osservare la Luna al binocolo?

Anzitutto Galilei stesso descrive, nel Sidereus Nuncius che il suo primo telescopio aveva 3 ingrandimenti (come un attuale binocolo da teatro) mentre il modello successivo arrivò a 8 ingrandimenti (a metà strada fra i diffusissimi binocoli 7x50 e 10x50). Infine non risparmiando fatica né spesa alcuna realizzò uno strumento in grado di ingrandire 30 volte (un ingrandimento non comunissimo fra i binocoli, ma non mancano modelli 30x77, 30x80, 30x100).

Dunque la Luna descritta nel Sidereus è fruibile al binocolo quanto al telescopio.

Inoltre i telescopi di Galilei non invertivano le immagini: l'orientamento era corretto nelle direzioni destra-sinistra e alto-basso, come nell'osservazione a occhio nudo e con il binocolo. E in questo senso ci piace pensare che la Luna binoculare sia probabilmente la "Luna Galileiana" per eccellenza.

La luce cinerea


A sinistra: Luce cinerea, immagine ripresa il 23 febbraio 2012, si ringrazia la Associazione Astrofili di Piombino; a destra l'interpretazione della luce cinerea da parte di Leonardo da Vinci


Guardando la Luna poco dopo il Novilunio, ancora immersa nelle luci del crepuscolo, è facile notare, accanto al crescente luminoso, la restante parte della Luna debolmente illuminata di una luce di tonalità più spesso grigio-azzurre, talvolta verdastre, tal’altra rossastre.

E’ la cosiddetta “Luce cinerea”, del colore della cenere, conosciuta da tempo e che ha trovato diversi appellativi nelle varie culture - per gli Inglesi è “the Old Moon in the New Moon’s arms” (la vecchia Luna tra le braccia della Luna Nuova). Naturalmente, può essere vista anche all’alba, nei giorni tra l’ultimo quarto e la Luna Nuova. Il fenomeno, che oggi sappiamo essere dovuto alla riflessione da parte della Luna della luce solare proveniente dalla Terra, fu variamente interpretato dagli antichi, fino al Rinascimento.

La Luna, dicevano, brilla di luce propria, anche se molto meno del Sole; oppure: la Luna è semitrasparente, traslucida, e lascia passare parte della luce solare che le viene da dietro; oppure: è fosforescente, oppure ancora (Tycho Brahe): riflette la luce delle stelle e di Venere. Leonardo da Vinci nel Codice Leicester (poi Hammer, ora Collezione Bill Gates), e Regiomontano (1436-1476) danno un’interpretazione intuitiva della luce cinerea, ma è Galileo che nel Sidereus Nuncius prima (1610), e nel Dialogo sopra i Massimi Sistemi poi (1632), ne fornisce una interpretazione precisa.

Afferma infatti Sagredo, dopo aver udito da Salviati la spiegazione del fenomeno, nel Dialogo:

... lasciatemi il gusto di mostrarvi come a questo primo cenno ho penetrato la causa di un accidente al quale mille volte ho pensato, né mai l'ho potuto penetrare. Voi volete dire che certa luce abbagliata che si vede nella Luna, massimamente quando l'è falcata, viene dal reflesso del lume del Sole nella superficie della Terra e del mare: e piú si vede tal lume chiaro, quanto la falce è piú sottile, perché allora maggiore è la parte luminosa della Terra che dalla Luna è veduta, conforme a quello che poco fa si concluse, cioè che sempre tanta è la parte luminosa della Terra che si mostra alla Luna, quanta l'oscura della Luna che guarda verso la Terra; onde quando la Luna è sottilmente falcata, ed in conseguenza grande è la sua parte tenebrosa, grande è la parte illuminata della Terra, veduta dalla Luna, e tanto piú potente la reflession del lume.

Circa la luce solare riflessa dalla Terra, occorre pensare che, mentre la Luna dal Novilunio procede verso il Primo Quarto, riceve dalla Terra una grande quantità di radiazione luminosa: infatti, per un osservatore che si trovasse sulla Luna in quella situazione astronomica, la Terra offrirebbe gran parte della sua superficie illuminata, procedendo da “Piena a “Ultimo Quarto”. Sempre considerando un ipotetico “lunatico” che osservasse la Terra, oltre a vederla sempre immobile nel cielo lunare, a diverse altezze a seconda della latitudine (in realtà, per il fenomeno della librazione la Terra descrive nel cielo lunare una piccola ellissi), la vedrebbe descrivere le fasi in ragione inversa a come noi terrestri vediamo le fasi lunari; in sostanza, quando da noi c’è Luna Nuova, dalla Luna si vedrebbe la Terra Piena, il Primo Quarto lunare da Terra corrisponderebbe all’Ultimo Quarto terrestre dalla Luna, e così via.

La luce cinerea, in pratica, non è altro che il “chiaro di Terra” sulla Luna, l’esatto contrario del chiaro di Luna sulla Terra.

L’entità del fenomeno, però è ben diversa: la superficie della Terra visibile dalla Luna, infatti, oltre ad essere circa 13 volte più grande della Luna stessa, ha un maggiore potere riflettente (albedo): circa il 37% contro il 7% della Luna. Ciò è dovuto prevalentemente alla presenza delle nubi (50%), meno delle terre emerse (10-25%), meno ancora dell’acqua degli oceani (10%). Possiamo capire bene ciò osservando le foto della Terra scattate dallo spazio: nubi e Poli appaiono di colore bianco abbagliante, i continenti color ocra e gli oceani di colore blu scuro. Infine, volendo estrapolare un ulteriore concetto, essendo la luce cinerea espressione della riflessione della luce solare da parte della superficie terrestre, rappresenta pure l’inverso dell’effetto-serra, essendo quest’ultimo l’espressione di quanto della radiazione solare viene invece trattenuto sulla Terra.

Nelle prime fasi della Luna crescente, o nelle ultime della Luna calante, all’interno della parte in penombra, è facile distinguere diversi particolari della sua superficie. I Mari si intravedono già a occhio nudo, e un binocolo rivela un numero maggiore di dettagli: strutture particolarmente riflettenti come Aristarchus e le raggiere di Tycho e Kepler sono facilmente osservabili come macchie più chiare. Mancando le ombre, l’effetto è simile a quanto si osserva in condizioni di Luna Piena, ma come se al nostro strumento fosse stato applicato un filtro molto scuro.

La Luna al primo quarto

Il detto “La Luna scava la zolla”*, traduzione di una espressione comune nelle vecchie comunità contadine di Romagna, descrive la similitudine della Luna in primo quarto con il vomere dell’aratro disposto in senso verticale, per scavare più a fondo il terreno.

La cultura contadina vedeva anche, nella parte destra della Luna che lentamente, sera dopo sera si apriva all’osservazione da Terra con la comparsa di macchie scure su un fondo bianco e brillante, l’immagine di Caino, il fratricida che, maledetto da Dio, si è rifugiato sulla Luna per sfuggire alla sua ira. In effetti, la sequenza del Mare Serenitatis in alto (il capo), del Mare Tranquilitatis al centro (il corpo) e dei mari paralleli, Fecunditatis e Nectaris (le gambe), può vagamente rendere l’idea di un uomo che corre con un fascio di legna, o una gerla (il Mare Crisium), sulle spalle.

In diversi disegni, Galileo ha rappresentato la Luna nelle sue diverse fasi e proprio dalle osservazioni al telescopio, a piccolo ingrandimento, simile a quello di un modesto binocolo odierno, trasse la convinzione che la Luna non dovesse avere una superficie liscia, come recitava la dottrina aristotelica, bensì aspra e rugosa. La visione della proiezione delle ombre delle montagne sulla superficie della Luna, variabile in lunghezza a seconda della fase, quindi dell’altezza del Sole sull’orizzonte, lo indusse a pensare che la superficie stessa fosse scabra e scavata, con crateri e catene montuose, similmente, o in misura maggiore, a quanto avviene sulla Terra. E’ strabiliante poi leggere i tratti del Dialogo in cui Galileo, sotto forma di dialogo tra sostenitore e oppositore delle moderne teorie, va a confermare, con deduzioni logiche, avvalendosi di principi matematici (in parte già noti all’epoca, in parte intuiti e anticipatori di teoremi che verranno formalizzati nei secoli successivi), quanto l’osservazione diretta gli aveva mostrato. Da ottimo disegnatore qual era, ha rappresentato il quarto lunare in modo assai realistico, con i contrafforti di un mare (dal disegno parrebbe il Mare Serenitatis, ma dovrebbe ragionevolmente trattarsi del mare Imbrium) in alto, che si protendono verso la metà oscura e l’irregolarità del bordo del terminatore con successioni di ombre e zone illuminate, senza trascurare la realistica rappresentazione di vette illuminate poco oltre il terminatore stesso, nella parte buia.

Appare, in questi disegni, un grande cratere, poco sotto la zona centrale, che nella realtà non esiste. Il fatto è di difficile interpretazione (Albategnius o il Mare Nubium?).



A sinistra: la Luna al primo quarto secondo uno dei disegni di Galileo Galilei pubblicati nel Sidereus Nuncius (1610); a destra Luna al primo quarto ripresa da Bruno Cantarella della Sezione di Ricerca Luna dell'Unione Astrofili Italiani


La visione binoculare del nostro satellite è sempre uno spettacolo emozionante: essa produce un senso di profondità, in qualche modo “stacca” il corpo celeste dal profondo cielo, cosa che non accade nella visione “mono-oculare” del telescopio. Ovviamente, la quantità di dettagli visibili sarà in funzione degli ingrandimenti prodotti dal binocolo: un comune 7x50, fondamentale per l’iniziale approccio al profondo cielo, fornirà un contributo modesto all’ analisi della superficie del satellite. Sarà tuttavia un utile banco di prova per saggiare, per chi si accosta per la prima volta all’ astronomia, il possibile inizio di una passione che lo porterà ad approfondire sempre di più, con strumenti di maggiore potenza, la conoscenza del cielo e degli astri che vi abitano.

La descrizione che segue è forzatamente generica. I dettagli dei crateri sono ovviamente meglio visibili in un binocolo di almeno 15 ingrandimenti. Un 7x50 mostra agevolmente i mari e la fitta craterizzazione dell’emisfero sud.

Partendo da Nord, osserviamo la striscia scura, disposta parallelamente al terminatore, del Mare Frigoris, che proseguirà anche nella zona occidentale, al di sopra delle Alpi e del Sinus Iridum, poi, scendendo verso Sud, la sequenza dei grandi mari, descritti prima. Così, sarà possibile notare i due grandi crateri, in alto, subito sopra il Mare Serenitatis, Aristoteles ed Eudoxus, e Posidonius, sul bordo orientale, quindi alla nostra destra, dello stesso Mare.

Ad oriente, la gerla di Caino, il Mare Crisium, che vediamo ovale per la proiezione prospettica sferica, ma che possiamo apprezzare in maniera più prossima alla realtà, circolare come tutti i mari, nei momenti in cui il fenomeno della librazione ce lo “allontana” dal bordo. Sul suo versante settentrionale, possiamo apprezzare il cratere Cleomedes, sul versante occidentale, il piccolo ma brillante Proclus che, in condizioni di Luna piena, si pavoneggia con una brillante raggiera. Scendendo dal Mare Serenitatis verso il basso, entriamo nel Mare Tranquillitatis, attraverso uno “stretto”, delimitato a oriente dal Mons Argaeus e a occidente dal Promontorium Acherusia. Al centro dello stretto sta Plinius. Entrando nel Mare Tranquillitatis, notiamo una notevole irregolarità dei bordi, in particolare di quello occidentale, fortemente segnato da profonde striature, provocate dagli esiti dello spaventoso evento che segnò la nascita dell’Imbrium.

Sul bordo meridionale del Tranquillitatis, si aprono due grandi spazi scuri, a oriente il Mare Fecunditatis e a occidente il Sinus Asperitatis che porta, più in basso, al Mare Nectaris.

Sul bordo orientale di quest’ultimo tre crateri in successione, Theophilus, Cyrillus e Catharina, di dimensioni simili, ma di origine molto diversa. Più recente il primo, più antico l’ultimo e intermedio quello al centro. Lo si rileva dal livello di degradazione dei crateri stessi: più conservato il cratere recente, più degradato e craterizzato quello più antico. Sul versante meridionale del Nectaris sta Fracastorius, con la sua parte settentrionale sommersa dalla lava del Mare. Al centro del terminatore, osserviamo, a nord, Hipparchus, molto degradato e, sotto di lui, più profondo e ben delimitato, Albategnius. Scendendo lungo il bordo orientale della Luna, oltre l’equatore, incontriamo tre grandi crateri, Langrenus, Vendelinus e Petavius. Difficile scorgere dettagli all’interno di essi. Un binocolo di ottima fattura e dotato di ingrandimenti maggiori fa scorgere, all’interno di Petavius, la grande spaccatura, che dal picco centrale arriva al bordo occidentale. Al di sotto dei grandi mari, si estende una vastissima area chiara, fittamente craterizzata. All’interno di essa, con l’aiuto di una cartina lunare, possiamo dilettarci a riconoscere alcuni di questi crateri, Sacrobosco, Piccolomini, il grande Janssen, a sua volta interessato da crateri sovrapposti. A seconda della potenza e della capacità risolutiva del binocolo, sarà possibile cogliere dettagli più o meno rilevanti, ma già la semplice osservazione d’insieme, con la resa tridimensionale data dallo strumento, provoca una sensazione di profondità di spazio nella quale è bello lasciarsi trasportare ... e il naufragar m’è dolce in questo mare ...

  • la Lòna la cheva e cùdal.



Il Mare Crisium e le librazioni

Luna ripresa il 18 marzo 2008 e il 27 dicembre 2009 in fase di Primo Quarto avanzato: risulta evidente la diversa posizione del Mare Crisium rispetto al bordo lunare (immagini riprese da Bruno Cantarella della Sezione di Ricerca Luna dell'Unione Astrofili Italiani)


Le librazioni sono “piccole oscillazioni apparenti della Luna che consentono di osservare circa 6/10 della superficie lunare e non soltanto l’emisfero sempre rivolto alla Terra”.* Queste oscillazioni erano già note a Galileo, che nel Dialogo, attraverso le parole di Salviati, afferma che

... noi veggiamo qualche cosa di piú della metà della Luna ...

Galileo ci spiega poi che l’osservatore vede, dal suo osservatorio sulla superficie terrestre, un lembo di superficie lunare che non vedrebbe dal centro della Terra, e che inoltre, a causa dell’inclinazione dell’orbita lunare rispetto al piano dell’Eclittica, capita talvolta di osservare la Luna leggermente dall’alto o dal basso. Galileo non menziona la librazione in longitudine che, assieme alle altre due, contribuisce a farci osservare il 59% anzichè il 50% della superficie della Luna. Per verificare questa oscillazione, e stimarne l'entità, è necessario controllare, a distanza di tempo, la distanza dal bordo esterno della Luna di una caratteristica lunare ben identificabile e situata non troppo lontano dal bordo stesso. Galileo fa notare che

...sono nella Luna due macchie particolari, una delle quali, quando la Luna è nel meridiano, guarda verso maestro, e [...] è visibile anco senza il telescopio...

e prosegue

... è la maestrale una macchietta ovata, divisa dall'altre grandissime ...

Questa macchia “ovata”, visibile anche senza il telescopio e posta a maestrale (NW) quando la Luna è al meridiano, è il Mare Crisium, attraverso la cui osservazione

...si osservano molto manifestamente le variazioni già dette.

Il fenomeno delle librazioni ha offerto allo sguardo dell'uomo una parte della superficie della Luna che sarebbe rimasta per sempre celata ai nostri occhi. Una considerazione che oggi può far sorridere, considerando che le varie missioni spaziali hanno ripreso tutta la superficie della Luna con un elevatissimo livello di dettaglio. Eppure negli anni '80 era ancora attivo presso l'ALPO (Association of Lunar and Planetary Observers) un programma osservativo internazionale denominato Luna Incognita: le missioni spaziali Lunar Orbiter, Apollo e Zond, fra la fine degli anni '60 e la fine degli anni '70, avevano fotografato la Luna in lungo e in largo, ma avevano trascurato una lingua di terra di 270.000 km2 (equivalente alla superficie dell'Inghilterra), corrispondente all'incirca alla zona di librazione del Polo Sud della Luna. Occorreva l'impegno di tutti gli osservatori lunari (soprattutto i dilettanti, dato che gli astronomi professionisti si rivolgevano ad altri campi di indagine) per esplorare questa nazione sconosciuta ...

Una breve spiegazione del fenomeno delle librazioni e perchè sono interessanti per chi osserva la Luna

  • John Gribbin, Enciclopedia di Astronomia e Cosmologia, Garzanti, 1998

La Luna piena

Luna piena: immagine ripresa il 9 gennaio 2012 da Andrea Mistretta della Sezione di Ricerca Luna dell'Unione Astrofili Italiani


Le zone scure (Mari) appaiono grossomodo circolari, contornate da zone chiare, bianche, in alcuni punti abbaglianti, già chiaramente interpretabili come catene montuose, altipiani, intervallati da valli e pianure più piccole. Partendo da Est (l’Est lunare è il bordo della Luna che noi vediamo a destra, in quanto per un osservatore posto sulla Luna, il sole nasce da quella parte), facciamo inizialmente riferimento al Mare Crisium, l’evidente pallino scuro sul bordo orientale del satellite. Accanto a lui sta una serie di Mari, dall’alto in basso (Mare della Serenità, della Tranquillità, poi i due paralleli, Mare della Fecondità e Mare del Nettare). Sul bordo occidentale del Mare Crisium, prospiciente il Mare Tranquillitatis si scorge un puntino molto luminoso: è il cretere Proclus, caratterizzato da due “baffi” luminosi che si proiettano in direzioni opposte. Più sotto, verso il Polo Sud, si estendono zone interessate da una estrema e fitta craterizzazione, che un telescopio appena più potente discrimina in una infinità di crateri e catene montuose.


La zona centrale della Luna è una continua alternanza di zone chiare e scure, all’interno delle quali si indovina il gruppo di crateri forse più interessante dell’intera mappa lunare, la triade Ptolemaeus, Alphonsus e Arzachel, e i vicini Hipparcus e Albategnius. Verso Occidente, quindi verso la nostra sinistra, vediamo il grande Oceanus Procellarum, all’interno del quale si può scorgere Copernicus con la sua ampia raggiera irregolare e, più a sinistra e più piccolo, Kepler. Un breve appunto: la nomenclatura lunare si deve in gran parte ad un gesuita bolognese del ‘600, Riccioli, il quale, ancora impregnato di cultura aristotelica e sordo alle nuove teorie eliocentriche, inserì i nuovi “eretici” Copernico, Keplero e anche Galileo, che occupa un insignificante cratere sul lato occidentale del satellite, nella zona di sinistra della Luna, dove collocò il Mare delle Piogge, il Mare delle Nubi, l’Oceano delle Tempeste, il Mare del Freddo e via dicendo, mentre riservò i posti migliori, nella parte destra della Luna (Mare della Tranquillità, della Serenità, della Fecondità, del Nettare, ecc.), agli astronomi e filosofi di più sicura fede aristotelico-tolemaica.

A Sud dell’Oceanus Procellarum, si trova il Mare Humorum, pressoché opposto e quasi delle stesse dimensioni del Mare Crisium, bellissimo all’osservazione, col suo corrugato Gassendi, mentre a Nord dello stesso si estende il grande cerchio del Mare Imbrium (Mare delle Piogge). E’ un cerchio contornato, a Nord e a Est, dalle Alpi e dal Caucaso, a Sud-Est dagli Appennini che terminano con Eratosthenes, che appare appeso alla catena montuosa come il pendaglio di una collana, e a Sud con i Carpazi, appena a Nord di Copernicus. I nomi della catene ripetono quelli di catene terrestri, ma, naturalmente, non hanno nulla in comune con esse. Il bordo occidentale del Mare è meno definito ma al di là di esso, verso Occidente , si possono vedere due crateri, uno luminosissimo, Aristarchus, ed uno più scuro, Herodotus. Il bordo riprende più su, con il grande golfo del Sinus Iridum, che appare come un “morso” nella zona montuosa circostante. E’l’effetto dell’impatto di un corpo di vaste dimensioni, caduto proprio sul bordo Nord-Occidentale del Mare Imbrium. Nella cavità prodotta dall’urto è poi fluita la lava proveniente dal vicino Mare a creare una delle più suggestive formazioni lunari. Osservare, anche in un piccolo telescopio il sorgere del Sole sul golfo, con le cime delle creste prospicienti il Mare che lentamente si accendono di luce è uno spettacolo meraviglioso! Proseguendo sul bordo, verso Nord-est, all’ inizio della catena alpina, si trova il “buco” di Plato.


La Raggiera di Tycho

Luna piena il cratere Tycho e la sua raggiera in piena evidenza - immagine ripresa da Claudio Vantaggiato della Sezione di Ricerca Luna dell'Unione Astrofili Italiani


Una delle formazioni lunari più interessanti e già ben visibile anche a piccolo ingrandimento, particolarmente in fase di Luna piena, è il grande cratere Tycho.

Dedicato a Tycho Brahe, che si dice riuscisse a vederlo a occhio nudo, è un oggetto luminosissimo caratterizzato da una amplissima raggiera altrettanto luminosa. I suoi raggi, espressione dell’impatto di un corpo celeste su una superficie lunare ancora plasmabile, arrivano fino al bordo opposto (se ne può vedere uno attraversare il Mare Serenitatis), a oltre 3.500 Km! Si irradiano prevalentemente verso Nord e verso Est (a destra), segno che l’oggetto deve essere giunto da Ovest con una angolazione inferiore ai 45°. Un impatto perpendicolare rispetto alla superficie avrebbe generato raggi in tutte le direzioni .

Mentre lo osserviamo al binocolo, proviamo a immaginare l'impatto di un oggetto di una decina di km di diametro che si infrangeva sulla Luna e gettava detriti che arrivavano fino a metà del globo lunare!


Alfonso Zaccaria


Mappe lunari

La mappa lunare di Peter Grego

La mappa lunare di Alfonso Zaccaria

La mappa lunare di Guido Ruggieri


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