Verso la Luna: immaginario
Da Commissione Divulgazione - Unione Astrofili Italiani.
(→La vera bufala lunare (1836)) |
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Il mezzo di trasporto? Una barca con ruote dentate che si incastravano negli anelli di una catena tesa tra la Luna e il molo Beverello, con una vela tesa a sfruttare il vento, o, in mancanza di questo, l'aria provocata da un soffietto. | Il mezzo di trasporto? Una barca con ruote dentate che si incastravano negli anelli di una catena tesa tra la Luna e il molo Beverello, con una vela tesa a sfruttare il vento, o, in mancanza di questo, l'aria provocata da un soffietto. | ||
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Nel riquadro superiore si vede il grande telescopio puntato sulla Luna da cui un altro telescopio approntato dai lunari guarda a sua volta la Terra. | Nel riquadro superiore si vede il grande telescopio puntato sulla Luna da cui un altro telescopio approntato dai lunari guarda a sua volta la Terra. | ||
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Ed ecco Pulcinella che mostra agli stupiti spettatori esseri improbabili che popolerebbero il nostro satellite. | Ed ecco Pulcinella che mostra agli stupiti spettatori esseri improbabili che popolerebbero il nostro satellite. | ||
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Nella stampa esplicativa si recita: | Nella stampa esplicativa si recita: |
Versione delle 14:22, 8 set 2014
L'IMMAGINARIO
La Luna è l'unico corpo celeste a mostrare dettagli a occhio nudo - macchie chiare e scure – ma a parte alcuni tentativi di Leonardo da Vinci e dell'inglese William Gilbert di disegnare con qualche realismo l' aspetto del nostro satellite, bisogna aspettare Galileo Galilei e il telescopio per avere la certezza che fosse un mondo come il nostro pianeta.
Chissà in quale momento della storia quel globo d'argento che mutava di notte in notte ha ispirato nell'uomo la curiosità, mista a sacro timore, di poter raggiungere la sede di una divinità di volta in volta benevola o feroce, a volte maschile, a volte femminile, sempre legata al mistero e allo scorrere del tempo?
Nelle opere più antiche i mezzi di trasporto per poter raggiungere la Luna sono di vario tipo ma sempre molto fantasiosi: dalle ali di avvoltoio ed aquila applicate alle spalle, a vortici che trascinano navigli, a fiabesche soprascarpe, ad ampolle ripiene di rugiada, a fagioli magici, a carri trainati da cavalli alati. Bisogna aspettare il secolo XIX perchè si scopra la tecnologia in varie forme: palloni aerostatici, obici e cannoni.
Riportiamo alcune delle testimonianze che possono essere riconosciute come l'inizio dell'avventura umana nello spazio, seguendo la cronologia.
LUCIANO DI SAMOSATA
(Atene 120 – 180 d.C.)
Icaromenippo (Il passanuvoli)
Traduzione di
Luigi Settembrini
[..]
Dunque eran tremila stadii dalla terra sino alla luna, dove ho fatta la prima posata: di là fino al sole un cinquecento parasanghe; e dal sole per salir sino al cielo ed alla rocca di Giove ci può essere una buona giornata di aquila.
Pensai di appiccarmi le ali d'un avoltoio o di un'aquila, le sole proporzionate al corpo d'un uomo, e così tentare una pruova. Presi adunque questi uccelli, e tagliai accuratamente l'ala destra dell'aquila e la sinistra dell'avoltoio, le congiunsi, me le attaccai agli omeri con forti corregge, adattai alle punte un ingegno per tenerle con le mani, e feci la prima pruova, saltellando ed aiutandomi con le mani, e come le oche che appena si levan di terra, io andavo su le punte de' piedi e dibattevo l'ali.
Accortomi che riuscivo, divenni più ardito, e montato su la cittadella mi diedi in giù, e venni fin sopra il teatro. Fatto questo volo senza pericolo, ne tentai altri più lontani e più alti: e spiccatomi dal Parneto o dall'Imetto andavo librato fino al Geranio; e di là sopra l'Acrocorinto; e poi sul Foloe, sull'Erimanto sino al Taigete. L'esercizio mi crebbe l'ardire, e l'arte, e la forza di montare più su, e far altri voli che questi da pulcini: onde montato su l'Olimpo, leggiero quanto più potevo, con un po' di provvisione, mi levai diritto al cielo. In prima l'altezza grande m'aggirava il capo, ma dipoi mi vi adusai facilmente.
Avvicinandomi alla luna, e lasciate molto indietro le nuvole, mi sentivo stanco, massime nell'ala sinistra, quella dell'avoltoio: però arrivato in essa, e sedutomi, mi riposavo, guardando giù su la terra come il Giove di Omero, e gettando lo sguardo or su la Tracia altrice di cavalli, or su la Mesia; e poi a mio talento su la Grecia, su la Persia, su l'India: e quella gran vista mi empiva di diletto maraviglioso.
[..]
E primamente parvemi molto piccola veder la terra, assai più piccola della luna; per modo che a un tratto volgendomi in giù, non sapevo più dove fossero questi monti e questo sì gran mare; e se non avessi scorto il colosso di Rodi e la torre del Faro, la mi saria interamente sfuggita. Ma queste due moli altissime, e l'Oceano che tranquillo rifletteva i raggi del sole, mi fecero accorto che io vedevo la terra. E come vi ficcai gli occhi attenti mi si parò innanzi tutta la vita umana, non pure le nazioni e le città, ma gli uomini stessi, chi navigava, chi guerreggiava, chi coltivava i campi, chi piativa; e le donne, e le bestie, e tutto quello che l'almo seno della terra nutrisce.
Quando adunque io mi accorsi di vedere la terra, ma di non poter discernere altro per la gran lontananza, per la quale appena vi giungeva l'occhio, io mi sentii tutto contristato e smarrito. E stando in questo affanno, e quasi spuntandomi le lagrime, ecco da dietro le spalle mi viene innanzi il filosofo Empedocle, nero come un carbonaio, e incenerato, e mezzo abbrustolato. Come io vidi costui, ti dico il vero, mi sconturbai, e lo credetti un qualche genio lunare. Ma egli: Non temere, o Menippo, disse; io non sono un iddio; perchè mi pareggi agl'immortali? Io sono il fisico Empedocle. Poichè mi gettai nei crateri dell'Etna, da un vortice di fumo fui portato qui nella luna, dove ora abito, e vo passeggiando per l'aere e mi cibo di rugiada....[..]
Una storia vera
(traduzione di Luigi Settembrini)
Lo scrittore all'inizio della sua opera avverte il lettore:
“...di avervi messe dentro molte finzioni che paiono probabili e verosimili; ma perché ciascuna delle baie che io conto, è una ridicola allusione a certi antichi poeti e storici e filosofi che scrissero tante favole e meraviglie...Scrivo dunque di cose che non ho vedute, né ho sapute da altri, che non sono, e non potrebbero mai essere...”
L'autore parte con una nave e dei compagni di viaggio verso le colonne d'Ercole. Le supera...
“ Verso il mezzodì, disparita l’isola, un improvviso turbine roteò la nave, e la sollevò quasi tremila stadii in alto, nè più la depose sul mare: ma così sospesa in aria, un vento, che gonfiava tutte le vele, ne la portava. Sette giorni ed altrettante notti corremmo per l’aria: nell’ottavo vedemmo una gran terra nell’aere, a guisa d’un’isola, lucente, sferica, e di grande splendore.
Avvicinatici ed approdati scendemmo: e riguardando il paese, lo troviamo abitato e coltivato. Di giorno non vedemmo niente di là; ma di notte ci apparvero altre isole vicine, quali più grandi, quali più piccole, del colore del fuoco, e un’altra terra giù, che aveva città, e fiumi, e mari, e selve, e monti: e pensammo fosse questa che noi abitiamo. Avendo voluto addentrarci nel paese fummo scontrati e presi dagl’Ippogrifi, come colà si chiamano.
Questi Ippogrifi son uomini che vanno sopra grandi grifi, come su cavalli alati: i grifi sono grandi, e la più parte a tre teste: e se volete sapere quanto son grandi immaginate che hanno le penne più lunghe e più massicce d’un albero d’un galeone.
Questi Ippogrifi adunque hanno ordine di andare scorrazzando intorno la terra, e se scontrano forestieri, di menarli dal re: onde ci prendono e ci menano a lui.
Il quale vedendoci e giudicandone ai panni, disse: Ebbene, o forestieri, siete voi Greci? E rispondendo noi di sì.
E come, ci dimandò, siete qui giunti, valicato tanto spazio d’aria?
Noi gli contammo per filo ogni cosa; ed egli ci narrò ancora de’ fatti suoi, come egli era uomo, a nome Endimione, e come una volta mentre ei dormiva fu rapito dalla nostra terra, e venne quivi, e fu re del paese. Questa, diss’egli, è quella terra che voi vedete di laggiù e chiamate la Luna."
LUDOVICO ARIOSTO
Orlando furioso - Canto XXXIV
(pubblicato nel 1532)
67
Gli è ver che ti bisogna altro viaggio
far meco, e tutta abbandonar la terra.
Nel cerchio de la luna a menar t'aggio,
che dei pianeti a noi più prossima erra,
perché la medicina che può saggio
rendere Orlando, là dentro si serra.
Come la luna questa notte sia
sopra noi giunta, ci porremo in via. -
68Di questo e d'altre cose fu diffuso
il parlar de l'apostolo quel giorno.
Ma poi che 'l sol s'ebbe nel mar rinchiuso,
e sopra lor levò la luna il corno,
un carro apparecchiòssi, ch'era ad uso
d'andar scorrendo per quei cieli intorno:
quel già ne le montagne di Giudea
da' mortali occhi Elia levato avea.
69
Quattro destrier via più che fiamma rossi
al giogo il santo evangelista aggiunse;
e poi che con Astolfo rassettossi,
e prese il freno, inverso il ciel li punse.
Ruotando il carro, per l'aria levossi,
e tosto in mezzo il fuoco eterno giunse;
che 'l vecchio fe' miracolosamente,
che, mentre lo passar, non era ardente.
70
Tutta la sfera varcano del fuoco,
ed indi vanno al regno de la luna.
Veggon per la più parte esser quel loco
come un acciar che non ha macchia alcuna;
e lo trovano uguale, o minor poco
di ciò ch'in questo globo si raguna,
in questo ultimo globo de la terra,
mettendo il mar che la circonda e serra.
71
Quivi ebbe Astolfo doppia meraviglia:
che quel paese appresso era sì grande,
il quale a un picciol tondo rassimiglia
a noi che lo miriam da queste bande;
e ch'aguzzar conviengli ambe le ciglia,
s'indi la terra e 'l mar ch'intorno spande,
discerner vuol; che non avendo luce,
l'imagin lor poco alta si conduce.
72
Altri fiumi, altri laghi, altre campagne
sono là su, che non son qui tra noi;
altri piani, altre valli, altre montagne,
c'han le cittadi, hanno i castelli suoi,
con case de le quai mai le più magne
non vide il paladin prima né poi:
e vi sono ample e solitarie selve,
ove le ninfe ognor cacciano belve.
73
Non stette il duca a ricercar il tutto;
che là non era asceso a quello effetto.
Da l'apostolo santo fu condutto
in un vallon fra due montagne istretto,
ove mirabilmente era ridutto
ciò che si perde o per nostro diffetto,
o per colpa di tempo o di Fortuna:
ciò che si perde qui, là si raguna.
Astolfo va alla ricerca del senno perduto di Orlando, incontra l'evangelista S. Giovanni che gli rivela che ciò che cerca lo troverà sulla Luna.
Gli prepara il carro che già fu di Elia, aggioga quattro cavalli rossi come fiamma e appena il Sole è tramontato partono; attraversano una cortina di fuoco che si rivela innocuo e arrivano sulla Luna.
Astolfo vede che il nostro satellite è in parte liscio come l'acciaio, ma è proprio come una piccola Terra, con i monti, valli, case e boschi dove cacciano le ninfe.
Subito viene portato in un vallone dove è riposto tutto ciò che si perde sulla Terra per le ragioni più diverse: i voti e le preghiere che gli uomini rivolgono a Dio con animo poco sincero, i sospiri degli amanti, il tempo perso al gioco, oppure sprecato inseguendo progetti irrealizzabili.
Troverà anche molte altre cose, compresa la bellezza delle donne: solo la pazzia manca quasi completamente "...ché sta qua giù, nè se ne parte mai...
SAVINIEN DE CYRANO DE BERGERAC
Voyage dans la Lune
da L'autre monde ou Les états et empires de la lune, pubblicato nel 1657
Una bella notte, tornando da Parigi e vedendo in cielo “un globo color zafferano”, il protagonista comincia a pensare che la Luna possa essere un mondo cui fa da luna la nostra Terra.
Giunto a casa, entrando nel suo studio si accorge che un libro è aperto sulla scrivania. E' il libro di Cardano dove si racconta che una sera, mentre il filosofo stava studiando al lume di una candela, vide entrare, attraverso la porta chiusa, due grandi vecchi che rivelarono di essere abitanti della Luna.
Cyrano si convince che il libro sia stato posto lì, sul suo tavolo, da questi due personaggi, tornati da lui per un preciso scopo: rendere noto a tutti che la Luna è un mondo come la Terra.
Decide di compiere la grande impresa: andare sulla Luna. Fa il primo tentativo per realizzarlo.
Il mezzo di trasporto che egli adotta consiste nell'avvolgere intorno alla vita una serie di fiale piene di rugiada che riscaldandosi al sole vengono attirate in alto come succede per la formazione delle nuvole. Poiché si accorge di salire troppo velocemente rompe alcune fiale ma non riesce in questa occasione a superare l'attrazione terrestre. Precipita in un luogo per lui sconosciuto.
Lo accolgono uomini nudi che si stupiscono di vederlo così rivestito di fiale mentre cammina sospeso a mezz'aria.
Il nostro viaggiatore si rende conto che mentre era in aria la Terra ha ruotato ed egli è caduto in Canada, lontano dal punto di partenza.
Costruisce allora una macchina che pensa possa portarlo abbastanza in alto e si lancia da una roccia, ma precipita e la macchina gli viene sottratta.
Si cosparge ilcorpo di midollo di bue, beve una buona dose di cordiale e torna a cercare la sua macchina, che è stata requisita dai soldati che la usano per i festeggiamenti di San Giovanni, applicando ad essa dei razzi pirotecnici.
Egli sale sulla macchina, accende questi razzi in serie e comincia a salire tanto che, quando già teme di cadere fracassandosi contro una montagna, sente invece che continua a salire mentre la macchina precipita. Sente la sua carne gonfiarsi e comprende che la Luna sta “succhiando” il grasso di cui si era cosparso, come fa, secondo una credenza contadina, con il grasso degli animali terrestri.
Dopo aver superato più di 3 quarti del cammino che separa la Terra dalla Luna vede d'un tratto che i suoi piedi si girano verso l'alto e ne comprende le ragioni: la Luna è più piccola della Terra, e l'attrazione minore. La caduta termina su un albero.
La Luna risulta abitata da molti tipi di esseri viventi e dalle strane usanze; una sola per tutte: il loro naso è tanto lungo da essere usato come gnomone per sapere l'ora segnata dall'ombra sui denti come sul quadrante di una meridiana.
RUDOLF ERICH RASPE
Le avventure del Barone di Münchhausen
pubblicato in Inghilterra nel 1785
Primo viaggio
...dovevo portare al pascolo tutte le mattine le api del sultano, custodirle per tutto il giorno e ricondurle ogni sera ai loro alveari.
Una sera mancava un’ape e mi accorsi subito che era stata assalita da due orsi che volevano sbranarla per rubarle il miele. Siccome non avevo lì per lì altra arma che l'accetta d’argento (la quale è il distintivo dei giardinieri ed agricoltori del Sultano), la scaraventai contro quei due birboni per scacciarli: e la povera ape riuscì a fuggire, ma purtroppo per lo slancio troppo forte l'accetta andò in alto, tanto in alto che cadde nella luna. Come riprenderla? Con quale scala andare a raggiungerla?
Ricordandomi che i fagiuoli turchi hanno un tal vigore di vegetazione da raggiungere in breve altezze vertiginose, subito piantai un fagiuolo che crebbe e si aggrovigliò da sé intorno ad un corno della luna; fu un lavoro abbastanza gravoso trovare la mia accetta d’argento in un luogo dove tutto sembrava d’argento, ma finalmente la ritrovai sopra un mucchio di paglia.
Volevo quindi ritornare, ma il sole aveva disseccato in tal modo il gambo della pianta, che non potevo scendere.
Che fare? Con le paglie intrecciai una corda, lunga quanto mi fu possibile; l'attaccai ad uno dei corni della luna e cominciai a scendere. Con la mano destra mi tenevo alla corda, nella sinistra portavo l'accetta. Quando ero disceso d’un buon tratto, tagliavo il pezzo sopra di me e lo attaccavo in fondo; riuscii così a calare per vario tempo. Ma taglia e annoda, annoda e taglia, la corda si accorciò tanto che non mi portò fino alla tenuta del Sultano: ci mancava ancora qualche miglio, quando la fune si ruppe ed ioprecipitai a terra con tanta violenza che persi i sensi;il peso del mio corpo, moltiplicato per la velocità, fece una buca profonda circa nove tese, dove restai conficcato.
Secondo viaggio
Ho già raccontato a lor signori di un piccolo viaggio che feci nella luna per riprendere la mia accetta d’argento. Un’altra volta vi giunsi in modo meno faticoso, e vi rimasi quel tanto che mi bastò per studiare certe stranissime cose, di cui voglio ora parlar loro con quell’esattezza che la memoria mi consentirà.
Un mio lontano parente, che si era ficcato in testa dovesse esistere da qualche parte un popolo di statura gigantesca, sul genere di quello trovato da Gulliver nel regno di Brobdignac, volle fare a questo scopo un viaggio di esplorazione, e mi pregò di accompagnarlo. Per parte mia non avevo mai prestato fede a quel racconto più di quanto non se ne presti ad una favola, e credevo a Brobdignac come si può credere all’Eldorado; ma quell’uomo mi aveva istituito suo erede universale, ed io gli dovevo perciò una certa riconoscenza.
Giungemmo felicemente al Pacifico senza incontrare nulla che sia degno di particolare menzione, salvo certi uomini e donne volanti, che ballavano il minuetto per aria e mostravano la loro bravura nel far capriole nel vuoto, ed altre simili piccolezze. Il diciottesimo giorno, oltrepassata l’isola Otahiti, un uragano sollevò la nostra nave ad almeno mille miglia dalla superficie dell’acqua, e ve la trattenne immobile per vario tempo. Finalmente un buon vento venne a gonfiare le vele, e proseguimmo il viaggio con velocità indescrivibile. Viaggiavamo da ormai sei settimane al di là delle nuvole, quando vedemmo una grande terra rotonda e luminosa, simile ad un’isola lucente.
Gettata l’ancora scendemmo a terra, trovando che il paese era abitato. Al di sotto di noi si scorgeva un’altra terra con città, alberi, montagne, fiumi, laghi, eccetera eccetera: ritenemmo quindi che si trattasse del mondo da noi lasciato. La luccicante isola dove eravamo approdati non era altro che la luna: vi si trovavano degli esseri di grandi proporzioni, che cavalcavano degli avvoltoi a tre teste. Per dar loro un’idea della grossezza di quegli uccelli, basti dire che la distanza tra le due punte delle loro ali era sei volte più lunga della più lunga corda che avevamo a bordo. ...
HANS CHRISTIAN ANDERSEN
(1805 - 1865)
Le soprascarpe della felicità
[..] A un tratto, il guardiano vide una stella cadente solcare il cielo.
" Una stella è caduta", disse, "ma ce ne sono ancora tante! Mi piacerebbe proprio vedere da vicino le stelle e soprattutto la luna. Quando moriamo, così racconta lo studente a cui mia moglie fa le pulizie, possiamo volare da una stella all'altra. Mi piacerebbe fare un saltino lassù!"
Quando si calzano le soprascarpe della felicità occorre stare molto attenti nell'esprimere certi pensieri. Sentite che cosa accadde al guardiano notturno.
Sappiamo tutti quale velocità possa produrre il vapore acqueo, l'abbiamo provata sia sul treno che con le navi che solcano il mare, eppure quella è come la camminata di un pigrone o la marcia di una lumaca, in rapporto alla velocità della luce; questa va 19 milioni di volte più veloce della migliore prestazione in una gara, e l'elettricità è ancora più veloce.
In otto minuti e pochi secondi la luce del sole compie un viaggio di oltre 20 milioni di miglia. Lo spazio tra i vari corpi celesti non è, a quella velocità, più grande dello spazio che c'è tra noi e la casa dei nostri amici, anche se quelli abitano molto vicino a noi.
In pochi secondi aveva percorso le 250.000 miglia fino alla luna che, come si sa, è composta di un materiale molto più leggero della terra, soffice quasi come la neve fresca.
Si trovò su uno di quegli innumerevoli crateri che conosciamo dalla grande carta della luna del dottor Madler.
In fondo al cratere a forma di calice si trovava una città che aveva l'aspetto di un bianco d'uovo in un bicchiere d'acqua, molle e piena di torri, di cupole e balconi a forma di vela, trasparenti e fluttuanti nell'aria leggera; la nostra terra era sospesa, come un grande globo rosso fuoco navigante nel cielo.
C'erano molte creature con un aspetto diverso dal nostro; parlavano una strana lingua, ma l'anima del guardiano notturno la comprendeva.
Stavano parlando della nostra terra e mettevano in dubbio che fosse abitata, perché l'aria era troppo pesante per qualunque creatura lunare. Secondo i loro sapienti la luna era l'unico corpo celeste abitato da esseri viventi. [..]
PULCINELLA
La vera bufala lunare (1836)
L'unica autentica bufala lunare fu perpetrata nel lontano 1835 da un giornale, il New York Sun.
In quei giorni Sir John Herschel, figlio del famoso astronomo William, aveva costruito in Sudafrica il più grande telescopio dell'epoca.
Il giornale cominciò a pubblicare a puntate una serie di servizi con immagini di improbabili abitanti della Luna che l'astronomo avrebbe visto con il suo strumento.
Esseri con le ali svolazzavano su città e campagne della Luna. Il giornale divenne popolarissimo, raddoppiando le vendite. Ma dopo alcune settimane l'autore della beffa dovette interrompere il racconto. Inventò che il telescopio era stato bruciato inavvertitamente dal Sole e che non si poteva più proseguire con le cronache.
L'anno dopo la storia ebbe un gustoso seguito a Napoli. Pulcinella stesso organizzò un viaggio sulla Luna.
Il mezzo di trasporto? Una barca con ruote dentate che si incastravano negli anelli di una catena tesa tra la Luna e il molo Beverello, con una vela tesa a sfruttare il vento, o, in mancanza di questo, l'aria provocata da un soffietto.
Nel riquadro superiore si vede il grande telescopio puntato sulla Luna da cui un altro telescopio approntato dai lunari guarda a sua volta la Terra.
Ed ecco Pulcinella che mostra agli stupiti spettatori esseri improbabili che popolerebbero il nostro satellite.
Nella stampa esplicativa si recita:
Mirabbiglia aggio visto e aggio toccato
Ercel le scoperte toje frietelle
Io cchiù sfunno de te songo arrivato
E aggio visto cose strane e belle
Nfaccia a sta vela videle appittate...