Le librazioni lunari

Da Commissione Divulgazione - Unione Astrofili Italiani.

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Sappiamo che la Luna mostra alla Terra sempre la stessa “faccia”, cioè il suo periodo di rotazione attorno al proprio asse è uguale al tempo di rivoluzione attorno alla Terra, il mese sinodico o lunazione, di circa 29 giorni e mezzo.  
Sappiamo che la Luna mostra alla Terra sempre la stessa “faccia”, cioè il suo periodo di rotazione attorno al proprio asse è uguale al tempo di rivoluzione attorno alla Terra, il mese sinodico o lunazione, di circa 29 giorni e mezzo.  
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Ciò fu creduto assolutamente vero fino a quando un uomo vi diresse un arnese chiamato cannocchiale.
Ciò fu creduto assolutamente vero fino a quando un uomo vi diresse un arnese chiamato cannocchiale.
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Versione corrente delle 15:08, 29 mag 2011

a cura di Francesco Castaldi


Sappiamo che la Luna mostra alla Terra sempre la stessa “faccia”, cioè il suo periodo di rotazione attorno al proprio asse è uguale al tempo di rivoluzione attorno alla Terra, il mese sinodico o lunazione, di circa 29 giorni e mezzo.


Disegno della zona del cratere Plato (Alfonso Zaccaria)
Disegno della zona del cratere Plato (Alfonso Zaccaria)
Disegni di Plato eseguiti da Giorgio Bonacorsi della Associazione Senigalliese di Astronomia "Aristarco di Samo". Il disegno in alto è stato eseguito il 28 dicembre 2006 a 132 ingrandimenti, il secondo il 30 giugno 2009 a 166 ingrandimenti. In entrambi i casi è stato utilizzato un telescopio rifrattore Kenko da 80 mm di diametro e 1000 mm di focale.



Ciò fu creduto assolutamente vero fino a quando un uomo vi diresse un arnese chiamato cannocchiale.

Il protagonsita della scoperta, Galileo Galilei, la descrisse nella Prima Giornata del 'Dialogo dei massimi sistemi' (1632).

La conversazione è centrata sul fatto che dalla Terra si vedrebbe sempre la stessa parte della Luna, ma solo se essa occupasse il centro dell’orbita lunare; ma ciò non è vero perché questo centro è fuori dalla Terra (eccentricità) e causa la possibilità di vedere lembi di Luna in più. Altro apporto si verifica perché la Luna rivoluziona su un piano inclinato rispetto all’eclittica e ci mostra qualcosa in più delle sue zone polari. Nel complesso risultano queste librazioni apparenti.

Quindi il fenomeno è dovuto a un effetto di punti di vista e non è intrinseco alla Luna.

Dopo avere presentato questi fatti, Galileo scende alle prove: Ora, che queste conseguenze si verifichino di fatto, il telescopio ce ne rende certi. Imperocchè sono nella Luna due macchie particolari, una delle quali, quando la Luna è nel meridiano guarda verso maestro [nord ovest], e l’altra gli è quasi diametralmente opposta, e la prima [Mare Crisium] è visibile anco senza il telescopio, ma non già l’altra [Grimaldus]: è la maestrale una macchietta ovata divisa dall’altre grandissime [Mare Tranquillitatis, Serenitatis, Fecunditatis]; l’opposta è minore e parimente separata dalle grandissime [Oceanus Procellarum], e situata in campo assai chiaro; in amendue queste si osservano molto manifestamente le variazioni già dette, e veggonsi contrariamente l’una all’altra, ora vicine al limbo del disco lunare, ed ora allontanate (…) Seguono valutazioni dimensionali del fenomeno.

Allarghiamo ora l’indagine a quella enciclopedia del sapere astronomico, nota a tutti gli studiosi europei di quei tempi, che fu Almagestum Novum, del gesuita G.B. Riccioli, Bologna, 1651,.



La parte che interessa è nel Liber quartus, De Luna, pag. 208½ (proprio così), dove leggiamo la genesi della scoperta: Per la prima volta il telescopio, assieme ad altri aspetti meravigliosi, segnalò a Galileo che il globo della Luna oscilla attorno al centro. Prosegue presentando quanto descritto da Galileo stesso, con riferimento alla pagina del Dialogo sopra riportata, e aggiunge che Galileo (…)inoltre si applica alla causa e alla spiegazione di queste librazioni, su cui [diremo]di seguito.

Seguono le precisazioni: M.L. Van Langren [Langrenus], cosmografo del Re Cattolico osservò le stesse librazioni a partire dal 1626, ma per più anni e con maggiore accuratezza. Riccioli cita una lettera inviatagli dal belga Langrenus con spiegazioni delle librazioni, ma non ne precisa la data. Sappiamo invece che il belga pubblicò per primo una mappa della Luna, con nomenclatura di sua invenzione, nel 1645 e che questa elaborazione durò più di un decennio, ma di librazione non se ne vede notizia, anche se una di tali stampe era in possesso di Riccioli (vedere Alle origini della selenografia di F. Castaldi, Le stelle, n° 70, febbraio 2009, pp. 50-56 ).

Segue una serie di citazioni di autori che si occuparono del fenomeno: Gassendi, Boulliau (Bullialdus), Hevelius.

Qui occorre rendere il merito a chi è stato il primo a pubblicare una mappa lunare con i confini delle parti visibili grazie alla librazione: fu Johannes Hevelius, Selenographia, Danzica, 1647, p. 240 (vedere F. Castaldi, op. cit., p. 52).

Solo nel 1651 la mappa di Grimaldi, con la nomenclatura data dal Riccioli, vedrà la luce nell’Almagestum Novum.

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