La conquista della Luna secondo Jules Verne

Da Commissione Divulgazione - Unione Astrofili Italiani.

Versione delle 16:39, 22 lug 2012, autore: Paolomorini (Discussione | contributi)
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Nel 2005 è stato celebrato il centenario della morte di Jules Verne, uno scrittore storicamente legato agli appassionati di astronomia e astronautica attraverso i suoi romanzi che hanno descritto un viaggio sulla Luna: “Dalla Terra alla Luna” e “Intorno alla Luna”. Dedichiamo questo breve articolo al famoso cannone che spedì verso la Luna il proiettile-navicella occupato dal viaggiatore avventuroso Michelle Ardan, dal Presidente del Gun Club, Barbicane, e dal suo avversario in questioni balistiche, il capitano Nicholl.


Nel romanzo di Jules Verne “Dalla Terra alla Luna”, la narrazione abbonda di dati numerici. La descrizione degli eventi con il linguaggio delle scienza e della tecnica fa parte di quegli artifici che vogliono rendere la storia quasi plausibile al lettore, al limite della credibilità ... Tanto è vero che a volte, come lettori, ci sentiamo presi dal dubbio se non vi sia una qualche probabilità di riuscita per le imprese descritte. Al cannone destinato a spedire il proiettile abitato sulla Luna è stata dedicata qualche pagina dal giornalista scientifico e divulgatore russo Yadelman Perelman (1882-1942).



Il presupposto fondamentale del romanzo è corretto, nel senso che se un proiettile lanciato verso l’alto in verticale possedesse una velocità iniziale sufficientemente elevata (maggiore della "velocità di fuga" dal campo gravitazionale del nostro pianeta) effettivamente esso non ricadrebbe più sulla superficie della Terra ma la abbandonerebbe per un viaggio senza ritorno nello spazio. La velocità di fuga nel vuoto, trascurando cioè la presenza dell'atmosfera, è pari a circa 11000 metri al secondo e i "cannonieri" del Gun Club, da bravi tecnici, dimensionano il cannone in modo che la velocità iniziale alla bocca di uscita corrisponda ad almeno 16000 metri al secondo (57600 km all’ora), proprio per compensare l'attrito aerodinamico nella prima fase del volo.

Il cannone del Gun Club, nel romanzo, è lungo 275 metri: la carica esplosiva occupa un volume non indifferente e all’atto dello sparo il proiettile percorre una lunghezza di canna lunga poco più di 200 metri.

Un primo problema pratico è legato al fatto che un esplosivo non sarà mai in grado di impartire ad un proiettile di artiglieria una velocità di questo tipo.



La “Grande Berta”, cannone costruito dalla Krupp nel 1906 (una delle armi più famose della Prima Guerra Mondiale) aveva una gittata di 9300 metri e una velocità di uscita del proiettile di 330 metri al secondo (50 volte inferiore al cannone di Verne). Un altra super-arma (a volte confusa con la Grande Berta) fu il cosiddetto Cannone di Parigi, che fece la sua comparsa nel 1918 quando, sorprendentemente, iniziarono a piovere su Parigi proiettili nemici con il fronte a 100 km di distanza. Allora la massima gittata si pensava fossero i 40 km ottenuti da un cannone inglese, ma un giorno nel poligono della Krupp ci fu uno strano incidente: un proiettile finì nel giardino di un parroco la cui chiesa era 10 km oltre il limite di sicurezza, oltre ogni limite immaginabile. Cos’era successo ?



Per un errore di puntamento il proiettile era stato lanciato non a 45 gradi (angolo che comporta la gittata massima) ma più in verticale, a un angolo di 55 gradi. Il proiettile arrivava così, rapidamente, in strati dell’atmosfera meno densi: la sua velocità si conservava per più tempo e la gittata aumentava sensibilmente. Cosicchè, quando i generali chiesero alla Krupp un cannone con una gittata di 120 km, le basi teoriche e sperimentali erano pronte.

I calcoli portarono a concludere che si doveva impiegare un proiettile con una velocità iniziale di 1650 m/sec e la ditta Nobel studiò un tipo particolare di polvere. La canna era lunga 40 metri, il cannone pesava 400 tonnellate e ne vennero costruiti 3 esemplari.

Negli anni successivi alla Prima Guerra, la necessità di proiettili molto veloci per il tiro contraereo e anticarro indusse esperimenti per trovare soluzioni per accelerare i proiettili. A parte gli enormi problemi di usura delle canne (che al Gun Club non interessavano molto), al crescere della velocità richiesta il peso della polvere cresce in modo esponenziale. Se per una velocità di 1000 m/sec occorre una carica che pesa circa il 40% del peso del proiettile, per ottenere 1300 m/sec occorre una carica pesante come il proiettile stesso. Questo a causa del fatto che non solo il proiettile deve essere accelerato, ma anche una parte della carica di lancio: la velocità massima teorica è quella a cui un aumento della carica non comporta più alcun aumento della velocità del proiettile, e questa si aggira attorno ai 2400 m/sec. Le velocità pratiche dell’artiglieria, per l’attuale stato dell’arte, sono in ogni caso attorno ai 1200 m/sec (13 volte inferiori alla velocità del cannone di Verne).



Pur trascurando questo fondamentale aspetto, rimane comunque il problema insormontabile dell’accelerazione al momento del lancio.

La descrizione di Perelman è quanto mai illuminante al riguardo:

“In verità, all'accensione del cannone, il pavimento della cabina avrebbe colpito i passeggeri da sotto in su con la stessa forza con cui il proiettile avrebbe urtato un qualunque oggetto posto lungo la sua traiettoria. Gli artiglieri di Giulio Verne dettero poca importanza a questo pericolo, pensando che nel caso peggiore se la sarebbero cavata con un afflusso di sangue alla testa. Effettivamente il problema è molto più serio. Nella canna il proiettile accelera, e la sua velocità aumenta a causa della pressione dei gas che l'esplosivo sviluppa una volta acceso. In una piccolissima frazione di secondo questa velocità aumenta da 0 a 16 km/sec. Supponiamo per semplicità che l'accelerazione sia uniforme. In questo caso l'accelerazione richiesta per aumentare la velocità del proiettile fino a 16 km/sec in un così breve lasso di tempo sarebbe prossima ai 600 km/sec2. Questo valore è fatale, come si può realizzare considerando che la normale accelerazione di gravità sulla superficie terrestre è di soli 10 m/sec2 Quindi al momento dello sparo ogni oggetto all'interno della cabina avrebbe esercitato una spinta verso il basso pari a 60000 volte il proprio peso. Ciò significa che il peso dei personaggi sarebbe aumentato di parecchie dozzine di migliaia di volte, il che li avrebbe ridotti immediatamente in poltiglia. Il cappello di Barbicane avrebbe pesato da solo perlomeno 15 tonnellate all'accensione del cannone - più che a sufficienza per stritolare il suo proprietario. A onor del vero, Giulio Verne descrive una serie di provvedimenti adottati per ammorbidire l'impatto. Il proiettile era equipaggiato con paracolpi a molla e con una intercapedine nel pavimento riempita con acqua. Questo avrebbe allungato il tempo dell'impatto, e perciò l'accelerazione sarebbe stata ridotta. Considerando però la tremenda forza con cui si avrebbe avuto a che fare in questo caso, il vantaggio sarebbe stato insignificante: solo una piccola parte della forza che tendeva a conficcare i passeggeri nel pavimento sarebbe stata infatti assorbita. Non credo che faccia molta differenza se il proprio cappello pesi 15 oppure 14 tonnellate: sarebbe come passare sotto a un rullo compressore in ogni caso ...”


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