Vita sulla Luna al telescopio

Da Commissione Divulgazione - Unione Astrofili Italiani.


I telescopi, che ci mostrano i curiosi particolari del suolo lunare, non possono risolvere le difficoltà con la loro potente visione e apprenderci se la Luna è davvero d'una sterilità assoluta? No. L'astronomia non possiede ancora apparecchi sufficienti per distinguere sulla Luna oggetti piccoli come gli esseri della Terra. La distanza media dell'astro è di 96000 leghe (384000 km, ndr). Per ridurla al suo miglior valore, vale a dire, per vedere la Luna come la vedremmo a occhio nudo a 96 leghe di distanza (384 km), occorre impiegare un cannocchiale che ingrandisca mille volte. Per ridurla ancora della metà, il che permetterebbe d'esplorar la Luna come esploriamo ad occhio nudo gli oggetti a 40 leghe (160 km), occorrerebbe un ingrandimento di duemila. Da Lione, a 40 leghe, si vede perfettamente ad occhio nudo il Monte Bianco, perlomeno nelle sue grandi masse; ma è inutile aggiungere che, a quella stessa distanza, oggetti piccoli come un uomo, un albero ed anche una casa, sarebbero del tutto invisibili. Con un telescopio che ingrandisse 2500, si vedrebbero dunque i monti della Luna come da Lione si vede il Monte Bianco. Sarebbe meraviglioso di limpidità per le masse considerevoli, per le grandi accidentalità del suolo; ma lo strumento resterebbe ancora inefficace per gli oggetti di deboli dimensioni. Andiamo più avanti, serviamoci d'un ingrandimento di 4000 volte, e la Luna sarà come trasportata a sole 24 leghe (96 km) dall'osservatore; con un ingrandimento di 6000 l'astro non sarà più che a 16 leghe (64 km). Vedremo adesso oggetti del volume dei nostri animali? No, certamente: chi mai se la sentirebbe, a tale distanza, di distinguere nemmeno un bue, un elefante? Mi direte, senza dubbio: aumentate ancora l'ingrandimento, e la Luna, ravvicinata quanto occorre, non avrà più segreti per noi. D'accordo: ma vi farò osservare che ho già di molto olptrepassato i limiti dell'amplificazione d'un uso possibile.

L'ingrandimento ha per effetto inevitabile di disperdere la luce emanata dall'oggetto, su un'estensione più grande, a detrimento della limpidità della visione. Quando si raggiunge un certo limite proporzionato alla vivacità della sorgente luminosa, la luce è talmente rara e attenuata che cessa la visibilità dell'oggetto. Voler ingrandir troppo, dunque, è condannarsi a non più veder chiaro. Ora, per la Luna, il limite degl'ingrandimenti possibili arriva ben tosto, causa lo scarso fulgore dell'astro. Non si può oltrepassare gran che un'amplificazione di 1000 a 2000, anche impiegando i telescopi colossali costruiti da Herschell e da Lord Ross. L'ultimo di questi apparecchi è un enorme tubo di m. 16,76 di lunghezza e di m. 1,96 di diametro. Pesa 66 quintali. Uno specchio metallico concavo, del peso di 3809 chili occupa il fondo del tubo. Esso serve a raccogliere e concentrare una gran quantità di luce che possa, senza indebolirsi troppo, sopportar la dispersione resa necessaria da un forte ingrandimento e dare un'immagine limpida dell'astro osservato. La pesante macchina é sopportata da muri enormi, vere fortificazioni merlate. Una foresta di travi e di cordami la mette in moto e la gira verso il punto voluto del cielo. Come apparecchio di visione questo strumento equivale ad un occhio la cui pupilla abbia m. 1,83 d'apertura, all'occhio di un gigante d'ottocento metri di altezza. Ebbene, con questo telescopio, tutt'al più si distinguono nitidamente sulla Luna gli oggetti confrontabili alle nostre cattedrali. Impossibile, dunque, finora, convincersi a occhio se la Luna sia davvero una solitudine morta, come affermano le più incalzanti analogie. L'avvenire senza dubbio, dando alla scienza telescopi di maggior potenza, risolverà presto o tardi la questione.


tratto da J.H. Fabre "Il cielo: letture e lezioni per tutti", VI ed., Sonzogno, Milano, 1931


Jean-Henri Casimir Fabre (Saint-Léons du Lévézou, 22 dicembre 1823 – Sérignan-du-Comtat, 11 ottobre 1915) è stato un entomologo e naturalista francese, considerato il padre dell'entomologia.

Una sua famosa citazione:

"Voi sventrate gli Animali e io li studio vivi. Voi ne fate oggetto di orrore ed io li faccio amare. Voi lavorate in un laboratorio di torture ed io osservo sotto il cielo azzurro al canto dei grilli e delle cicale. Voi sottomettete ai reattivi il protoplasma e le cellule ed io studio l'istinto in tutte le sue manifestazioni. Voi scrutate la morte ed io analizzo la vita. Se io scrivo per gli scienziati e per i filosofi, che un giorno tenteranno di dipanare l'arduo problema dell'istinto, scrivo anche per i giovani ai quali desidero di far amare questa storia naturale che Voi riuscite solo a far odiare."

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