Cosmologia
per
tutti
Le
misure
astronomiche
di
Claudio
Del
Duca
Sommario
Un
disordinato
testo
di
storia
cosmica
La
notazione
esponenziale
Unità
di
misura
in
astronomia
Le
stelle
fisse
La
misurazione
delle
distanze (Parallasse
trigonometrica)
Luminosità
e
distanze
Un
disordinato
testo
di
storia
cosmica
Quando
alziamo
gli
occhi
al
cielo
per
osservare
un
qualunque
corpo
celeste
luminoso,
effettuiamo
un
viaggio
nel
tempo
senza
rendercene
conto.
È
come
aprire
un
libro
di
storia
che
riporta
disordinatamente
le
vicende
accadute
in
un
tempo
relativo
allo
spazio
che
ci
separa
dalle
stesse.
Infatti,
le
onde
elettromagnetiche
della
luce
viaggiano
nel
vuoto
alla
velocità
costante
di
299.791
Km
al
secondo,
ma,
nonostante
questa
velocità
elevatissima,
per
arrivare
fino
a
noi
impiegano
sempre
del
tempo.
È
così
che
le
radiazioni
del
Sole,
dalla
distanza
media
di
149,6
milioni
di
Km
dalla
Terra,
ci
arrivano
mediamente
dopo
8
minuti
e
20
secondi.
Persino
quando
guardiamo
la
Luna,
bisogna
considerare
che
non
la
vediamo
come
e
dove
realmente
è
nel
momento
dell’osservazione,
ma
come
e
dov’era
1,31
secondi
prima.
Lo
stesso
discorso
vale
per
gli
altri
pianeti
del
Sistema
Solare,
per
le
altre
stelle
della
Via
Lattea
e
per
le
altre
galassie
che
riusciamo
ad
osservare
solo
con
adeguate
strumentazioni
ottiche
e
radio.
La
realtà
contemporanea
dell’Universo
è
dunque
assai
diversa
dalla
realtà
percettiva
che
ne
abbiamo
perché
possiamo
osservare
solo
ciò
che
ha
emesso
o
riflesso
una
qualche
radiazione
in
un
preciso
momento
del
passato
più
o
meno
remoto
in
relazione
alla
distanza
della
fonte.
La
notazione
esponenziale
Gli
astronomi
hanno
a
che
fare
con
numeri
o
molto
grandi
o
molto
piccoli
e,
quindi,
per
ragioni
di
praticità
usano,
per
tali
grandezze,
la
cosiddetta
notazione
esponenziale.
Un
numero
come
3.000.000
viene
dunque
espresso
come
3
x
106. In
generale,
un
qualsiasi
numero
viene
espresso
nella
forma
X,XXX
x
10n
dove
n
è
il
numero
di
zeri
che
devono
essere
aggiunti
al
numero
o
il
numero
di
posti
di
cui
deve
essere
spostata
la
virgola
decimale
verso
destra.
Se
l'esponente
è
negativo,
la
virgola
deve
essere
spostata
verso
sinistra,
ovvero
6
x
10-2
equivale
a
0,06.
Ecco
alcuni
equivalenti: ;103
=
mille,
106
=
un
milione,
109
=
un
miliardo.
Unità
di
misura
in
astronomia
Gli
astronomi,
a
causa
dell'immensità
delle
distanze
che
caratterizzano
il
loro
campo
di
studio,
si
servono
di
varie
unità
di
misura
speciali.
L’uso
di
queste
unità
rende
le
loro
descrizioni
più
concise
e
facilita
i
calcoli
più
impegnativi.
Ecco
le
unità
di
misura
astronomiche
più
importanti:
unità
astronomica,
anno-luce,
parsec,
kiloparsec,
megaparsec.
Unità
astronomica
(UA):
è
la
distanza
media
fra
il
Sole
e
la
Terra,
che
è
grosso
modo
di
149
600
000
km.
Quest'unità
viene
usata
per
lo
più
per
misurare
le
distanze
all’interno
del
Sistema
Solare
o
fra
coppie
di
stelle
molto
vicine
fra
loro.
Una
UA
equivale
anche
a
499
secondi-luce
(8
minuti-luce
e
19
secondi-luce),
tempo
impiegato
dalla
luce
a
percorrere
la
distanza
Sole-Terra.
Anno-luce:
la
distanza
che
la
luce,
o
qualsiasi
altra
radiazione
elettromagnetica,
percorre
in
un
anno
nel
vuoto.
Questa
distanza
è
pari
a
circa
63
240
UA,
(9
460,704
miliardi
di
chilometri)
una
distanza
sufficiente
per
potervi
allineare
800
sistemi
solari
l’uno
accanto
all’altro.
Parsec
(Pc):
gli
astronomi
usano
quest’unità
di
misura
per
misurare
distanze
fuori
del
nostro
sistema
solare.
Essa
è
usata
talvolta
invece
dell’anno-luce
per
grandi
distanze.
Parsec
è
un’abbreviazione
per
parallasse-secondo
.
Un
parsec
è
la
distanza
alla
quale
una
stella
avrebbe
una
parallasse
di
1"
e
corrisponde
a
206.265
UA,
a
3,086
x
1013
Km
o
a
3,262
anni-luce.
(206.265
è
il
numero
di
secondi
contenuti
in
un
radiante).
Il
Sole,
che
dista
da
noi
1
UA,
ha
una
parallasse
di
206
265
secondi.
1°
è
uguale
a
60’
e
a
3600’’
(vedi
Parallasse
trigonometrica).
Kiloparsec
(Kpc):
usando
gli
usuali
prefissi
del
sistema
metrico,
1000
parsec
diventano
1
kiloparsec.
Spesso
le
distanze
all’interno
della
Via
Lattea
vengono
date
in
kiloparsec.
Il
kiloparsec
è
pari,
ovviamente,
a
3
260
anni-luce.
Il
nostro
sole
si
trova
a
circa
8,5
kiloparsec
dal
centro
della
Via
Lattea.
Megaparsec
(Mpc):
Le
distanze
di
altre
galassie
vengono
misurate
di
solito
in
megaparsec
che
è
pari
a
un
milione
di
parsec.
Questi
numeri
vengono
di
solito
arrotondati
a
causa
delle
grandi
incertezze
con
cui
conosciamo
queste
distanze
immense.
Le
stelle
fisse
L’osservazione
della
volta
celeste
ha
portato
gli
antichi
ad
immaginare
che
la
Terra
fosse
immobile
nello
spazio.
Si
dedusse
che
le
stelle
fossero
“fissate”
su
una
grande
sfera
cristallina
che
nel
corso
del
giorno
compiva
un
giro
completo
attorno
alla
Terra.
Per
questo
motivo
esse
furono
chiamate
“stelle
fisse”.
Solo
fra
la
fine
del
400
all’800,
secoli
in
cui
vissero
Copernico,
Galilei,
Keplero
e
Newton,
si
comprese
che
le
stelle
non
sono
distribuite
su
una
sfera,
ma
poste
a
distanze
molto
diverse.
L’apparente
fissità
delle
stelle
è
dovuta
al
fatto
che
la
loro
distanza
dalla
Terra
è
così
grande
rispetto
ai
loro
spostamenti
che,
chi
osserva
non
può
scorgere
nessun
cambiamento
notevole
nelle
loro
posizioni.
Nel
corso
dei
millenni,
invece,
il
movimento
delle
stelle
porta
anche
a
mutare
la
forma
delle
costellazioni.
Tra
centomila
anni,
per
esempio,
l’Orsa
Maggiore
avrà
una
forma
completamente
diversa
dall’attuale
e
assomiglierà
grosso
modo
a
una
y.
Per
convenzione,
oggi
s’intendono
“fisse”
quelle
stelle
che
sono
abbastanza
distanti
da
non
mostrare
alcun
cambiamento
di
posizione
con
quelle
apparentemente
vicine
nella
volta
in
un
periodo
di
sei
mesi
di
osservazione
(vedi
sotto
parallasse
trigonometrica).
La
misurazione
delle
distanze
La
precisione
in
astronomia
è
estremamente
relativa.
Persino
le
distanze
all’interno
del
nostro
sistema
solare
vengono
costantemente
precisate
man
mano
che
veicoli
interplanetari
e
satelliti
artificiali
inviano
i
loro
dati
alla
Terra.
In
generale,
con
una
certa
esattezza
si
può
dire
solo
che
le
distanze
minori
sono
note
con
più
precisione
delle
distanze
maggiori.
Ciò
continuerà
a
essere
vero
anche
al
migliorare
delle
tecnologie
per
la
misurazione
delle
distanze
cosmiche.
Per
determinare
la
posizione
di
una
stella
ci
si
serve
della
triangolazione
partendo
da
due
punti
che
definiscono
una
linea
di
base.
Questo
procedimento
viene
chiamato
parallasse
trigonometrica.
|
Innanzitutto
si
misura
la
posizione
della
stella
rispetto
a
quelli
che
consideriamo
oggetti
lontani
di
fondo,
poi,
sei
mesi
dopo,
si
prende
un’altra
misurazione
della
posizione
apparente
della
stella
quando
la
Terra
si
troverà,
nel
suo
percorso
orbitale,
dalla
parte
diametralmente
opposta
rispetto
al
Sole. |
Un
oggetto,
osservato
da
due
punti
opposti
dell’orbita
terrestre,
a
sei
mesi
di
distanza,
sembrerebbe
mutare
la
sua
posizione
in
cielo.
La
metà
di
questo
angolo
(p)
è
chiamata
parallasse
della
stella.
L’unità
di
misura
di
questi
angoli
è
il
secondo
d’arco
(1").
Le
parallassi
sono
sempre
minori
di
1".
La
Proxima
Centauri,
la
stella
più
vicina
alla
Terra,
ha
una
parallasse
di
0,765"
e
la
61
Cygni
una
parallasse
di
0,293".
In
questo
modo
si
viene
ad
avere
fra
i
due
punti
dell’orbita
terrestre
una
linea
di
base
di
299
milioni
di
Km.
Gli
astronomi
prendono
in
realtà
molte
misurazioni
fino
a
determinare
la
linea
di
base
più
lunga
per
un
particolare
oggetto.
Persino
disponendo
di
linee
di
base
così
lunghe
possono
verificarsi
imprecisioni
a
causa
dell’atmosfera
terrestre
e
delle
limitazioni
nell’equipaggiamento.
Questi
margini
di
errore
in
astronomia
scompaiono
negli
arrotondamenti.
Il
margine
d’errore
della
parallasse
trigonometrica
per
distanze
fino
a
10
anni-luce
dalla
Terra
è
inferiore
al
3
%.
Ci
sono
poche
stelle
note
entro
questa
distanza,
e
alcune
appartengono
allo
stesso
sistema.
A
distanze
di
30
anni-luce
si
ritiene
che
il
margine
d’errore
delle
misurazioni
sia
del
10
%.
Le
distanze
di
stelle
che
si
trovano
a
100
anni-luce
possono
essere
sbagliate
del
30
%,
e
questa
distanza
è
generalmente
considerata
il
limite
per
misurazioni
ragionevolmente
esatte.
Se
100
anni-luce
sono
il
limite
usuale
per
tali
tecniche
trigonometriche,
in
che
modo
gli
astronomi
misurano
la
nostra
Via
Lattea,
la
quale
ha
un
diametro
stimato
di
100.000
anni-luce?
Raccogliendo
la
luce
di
stelle
lontane
su
lastre
fotografiche
e
studiandone
gli
spettri:
una
tecnica
chiamata
spettroscopia
stellare.
Stelle
vicine
la
cui
distanza
è
stata
misurata
con
la
parallasse
possono
essere
usate
come
candele
per
lo
studio
di
stelle
simili
che
si
trovano
a
distanze
maggiori.
Queste
stelle
ci
appaiono
poco
luminose,
ma
solo
perché
sono
molto
lontane.
Una
volta
che
sia
stato
determinato
il
tipo
spettrale
di
una
stella
lontana
e
che
la
si
sia
confrontata
con
stelle
più
vicine,
è
possibile
determinarne
la
luminosità
reale.
Conoscendo
la
luminosità
reale
di
una
stella
e
la
sua
luminosità
apparente
dalla
Terra,
è
possibile
stimarne
la
distanza.
Questo
metodo
indiretto
di
determinazione
della
distanza,
che
si
può
usare
con
elevata
approssimazione
anche
per
determinare
la
distanza
di
galassie
lontane,
è
noto
come
parallasse
spettroscopica.
Studiando
lo
spettro
della
luce
si
è
stimata
la
distanza
di
migliaia
di
stelle
in
tutta
la
nostra
galassia
(vedi
Luminosità
e
distanze
sottostante).
Un
altro
metodo
di
misurazione
delle
distanze
intergalattiche
ci
è
fornito
dal
rilevamento
dell’effetto
doppler.
Le
righe
spettrali
scure
presenti
nella
luce
di
un
oggetto
che
si
sta
allontanando
da
noi
sono
spostate
verso
lunghezze
d’onda
maggiori,
verso
l’estremo
rosso
dello
spettro.
La
luce
rossa
è
quella
che
ha
la
lunghezza
d’onda
massima fra
tutti i
colori
visibili.
Si
parla
in
proposito
di
sposmento
verso
il
rosso.
Se
invece
l’oggetto
si
sta
avvicinando
succede
l’opposto:
le
lunghezze
d’onda
risultano
compresse
e
si
verifica
uno
spostamento
verso
il
blu.
Quanto
maggiore
è
lo
spostamento
verso
il
rosso
di
un
oggetto
cosmico,
tanto
più
lontano
esso
si
trova
nello
spazio
e
nel
tempo
e
tanto
maggiore
è
la
sua
velocità
di
regressione
nell’universo
in
espansione.
Gli
spostamenti
verso
il
rosso
dello
spettro
sono
essenziali,
assieme
al
valore
della
costante
di
Hubble,
per
determinare
velocità
e
distanze
di
oggetti
cosmici
molto
lontani.
Luminosità
e
distanze
Le
stelle
più
luminose
sono
designate
con
un
nome
proprio
e
le
stelle
di
una
stessa
costellazione
vengono
indicate
per
ordine
decrescente
di
luminosità
mediante
una
lettera
dell’alfabeto
greco
seguita
dal
genitivo
latino
della
costellazione
cui
appartengono.
Lo
splendore
con
cui
ci
appare
una
stella
in
cielo
dipende
da
due
fattori:
la
luminosità
e
la
distanza.
La
luminosità
è
la
quantità
di
energia
emessa
dalla
stella,
sotto
forma
di
radiazione,
nell’unità
di
tempo
e
in
tutte
le
direzioni,
e
dipende
dalle
dimensioni
della
stella
e
dalla
temperatura
superficiale.
Tale
quantità
si
può
esprimere
in
funzione
della
luminosità
solare che
è
nota
(3,9
x
1033
erg/sec).
Luminosità
10
significa
perciò
una
stella
che
emette
in
un
secondo
energia
radiativa
10
volte
più
del
Sole.
Nel
II
secolo
a.C.,
Ipparco
divise
le
stelle
visibili
a
occhio
nudo
in
sei
gruppi.
Le
stelle
più
splendenti
furono
dette
di
“prima
magnitudine”
e
le
più
deboli,
al
limite
della
percezione
dell’occhio,
di
“sesta
magnitudine”.
Nel
XIX
secolo
si
scoprì
che
le
stelle
di
prima
magnitudine
erano
circa
cento
volte
più
luminose
di
quelle
di
sesta.
Venne
quindi
adottato
un
nuovo
sistema
di
magnitudini
basato
sulla
definizione
che
ad
una
differenza
di
cinque
magnitudini
corrisponde
esattamente
un
rapporto
di
intensità
uguale
a
cento.
Per
poter
includere
nel
nuovo
sistema
le
stelle
molto
brillanti,
la
scala
fu
estesa
ai
numeri
negativi.
Sirio,
la
stella
più
splendente
nel
cielo,
ha
una
magnitudine
di
-1,4.
Analogamente,
la
scala
fu
ampliata
alle
stelle
più
deboli
della
sesta
magnitudine,
ossia
alle
stelle
osservabili
solo
con
telescopi.
L’undicesima
magnitudine
corrisponde
quindi
a
stelle
cento
volte
più
deboli
della
sesta
e
la
sedicesima
magnitudine
corrisponde
a
stelle
cento
volte
più
deboli
dell’undicesima.
Le
stelle
più
deboli,
fotografabili
con
i
più
grandi
telescopi,
sono
circa
della
venticinquesima
magnitudine.
A
seconda
del
particolare
rivelatore
usato
(occhio,
lastra
fotografica,
cellula
fotoelettrica,
ecc.),
corrispondono
differenti
tipi
di
magnitudine.
Va
sottolineato
che
si
parlerà
di
magnitudine
apparente
ogni
volta
che
ci
si
riferisce
alla
luminosità
di
un
oggetto
qual
è
misurata
dall’osservatore,
senza
tener
conto
dell’effetto
della
distanza
sulla
luminosità.
Lo
splendore
apparente
di
una
stella,
quindi,
dipende
dalla
distanza.
Se
il
Sole,
per
esempio,
si
trovasse
alla
distanza
di
100
anni-luce,
non
sarebbe
visibile
ad
occhio
nudo.
Per
eliminare
l’effetto
dovuto
alle
diverse
distanze,
si
introduce
la
“magnitudine
assoluta”,
ossia
la
magnitudine
che
le
stelle
avrebbero
se
fossero
tutte
poste
alla
stessa
distanza.
Per
convenzione,
si
fissa
questa
distanza
a
10
parsec.
Per
determinare
la
luminosità
di
una
stella
è
necessario
conoscerne
la
distanza
e
la
magnitudine.
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Cosmologia
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